di Francesco Rosano
L’INCHIESTA
Il grande nodo del lavoro: «Il 99% degli operai non ha la tessera del partito». La crisi Saga Coffee: «In Appennino vince la destra. Qualcuno si dovrà porre il tema»
«Fu un momento di festa incredibile, gente che arrivava da ogni parte d’Italia si riuniva per cantare o suonare insieme. Ma di quel giorno io ricordo soprattutto il silenzio che piombò sul Campovolo quando il segretario arrivò sul palco. Un milione di persone e non si muoveva una foglia». Il 18 settembre del 1983, mentre Enrico Berlinguer alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia pronunciava quello che sarebbe diventato il suo ultimo comizio, Airone Polo detto Bibo era impegnato per conto del Pci in un incarico mica da poco: toccava a lui occuparsi della delegazione in visita dalla Germania dell’Est.
Il Pci emiliano-romagnolo allora aveva oltre 400 mila iscritti, quasi 20 anni dopo è il Pd nazionale a viaggiare su quelle grandezze. Il compagno Bibo di anni oggi ne ha settantasei, sessantuno dei quali passati alle Feste dell’Unità. «Non ho rinnovato la tessera soltanto una volta».
Le domande
Superfluo dire che in quell’anno era diventato segretario Matteo Renzi: «Io ho sempre stimato e stimo Pierluigi Bersani». Archetipo di quei militanti che sono il vero patrimonio del Pd (quello immobiliare, ne parleremo più avanti, è in affitto), anche lui non può che allargare le braccia di fronte al confronto tra il Pci emiliano-romagnolo di allora e il Pd per cui oggi continua a spendersi infaticabile: «Che vuole che le dica?
È cambiato il mondo, allora il partito era una roba elefantiaca. Magari aveva tantissimi funzionari, ma i dirigenti conoscevano e discutevano i problemi di tutti, erano davvero vicini alla gente».
La cura degli iscritti
Per capire i cambiamenti a cui è andato incontro negli anni il Pd, oltre che affidarsi ai ricordi, bisogna partire innanzitutto dai numeri. Quelli degli iscritti sono a senso unico, in Emilia-Romagna come nel resto d’Italia. Anche se in queste terre, che durante gli anni d’oro del Pci vantavano un quarto delle tessere comuniste italiane, l’inesorabile contrazione della base è un nervo più scoperto che altrove.
Nel 2011 gli iscritti al Pd lungo la via Emilia erano 92 mila, oggi si viaggia un po’ sotto i 30 mila, di cui circa 7 mila a Bologna (dimezzati rispetto all’ultimo congresso di federazione). Il peso percentuale rispetto al partito nazionale, arrivato a 412 mila iscritti nel 2019, non è più quello di una volta. Anche in Emilia-Romagna il Pd è diventato «leggero», non ancora fluido, ma nemmeno solido come la discendenza dai Ds avrebbe lasciato presagire.
Un patrimonio altrui
D’altronde 14 anni fa, dal matrimonio tra la Quercia e la Margherita, è nato un figlio senza eredità. Immobili e proprietà accumulati nei decenni dal Pci-Pds-Ds sono finiti nelle casseforti di 67 fondazioni sparse per l’Italia. In Emilia-Romagna, dove ne è nata una per ogni federazione, il peso massimo è la Fondazione Duemila di Bologna: oltre 11 milioni di euro in immobili, a cui si aggiungono le proprietà della controllata Immobiliare Porta Castello.
In quel patrimonio si trovano dalla prima Casa del Popolo all’ultimo dei circoli, costruiti dal vecchio partito e oggi affittati dal Pd a prezzi calmierati. L’ultimo bilancio della Fondazione Duemila, che a Palazzo d’Accursio ha appena inaugurato una bella mostra sulla storia del Pci regionale, ha registrato nel 2020 poco più di 278 mila euro di proventi dal patrimonio e 273 mila euro di perdite (legate anche alle difficoltà del mercato per l’emergenza sanitaria) … leggi tutto