Futuro dei navigator, ecco i sindacati delle cause perse

di Riccardo Mazzoni

Cgil e Uil, che hanno indetto lo sciopero 
generale più surreale nella storia del sindacato, 

oggi scaldano i muscoli in vista del 16 dicembre con un presidio nazionale organizzato davanti al ministero dello Sviluppo economico per chiedere risposte sul futuro dei navigator, il cui contratto scade a fine anno.

La battuta verrebbe facile, ma sarebbe scontata: sindacati delle cause perse, perché di queste mitiche creature partorite dal genio creativo dell’altrettanto mitico Parisi, ex presidente di Anpal, si era persa ogni traccia nei duri mesi del lockdown, e nessuno ne sentiva la mancanza.

Tanto che, dopo la proroga concessa ad aprile, i navigator sono scomparsi dai radar della legge di bilancio per essere sostituiti dalle Agenzie private del lavoro. Il sipario sembrava dunque definitivamente calato su di loro, ma siamo in Italia, dove mai nulla è definitivo, per cui usciti dalla porta, sono subito rientrati dalla finestra grazie a un emendamento dei relatori al decreto legge Recovery, che consente alle Regioni di subentrare ad Anpal nella sigla dei nuovi contratti.

Per farla breve, i navigator potranno quindi proseguire per altri sei mesi la stessa missione fallita in questi anni, ossia accompagnare al lavoro i beneficiari del reddito di cittadinanza fino al «completamento delle procedure di selezione e di assunzione del personale da destinare ai centri dell’impiego».

Come la famosa telefonata di uno spot, anche un emendamento dunque può allungare la vita, ma è legittimo chiedersi se non si tratti in questo caso di vero e proprio accanimento politico: dopo due anni e mezzo e 180 milioni di euro spesi tra stipendi e formazione, infatti, il loro impatto sull’occupazione è stato praticamente nullo.

Secondo il presidente di Confindustria Bonomi, che citava dati Istat, attraverso il sistema di politiche attive dei navigator sono state assunte 423 persone, numeri neanche da fallimento: da ecatombe. D’altronde, il ruolo del Job advisor, nei collaudati servizi per l’impiego del Centro-Nord d’Europa, è altamente qualificato, e ci si approda dopo una formazione specialistica ottenuta con corsi post-laurea, mentre i nostri 2500 navigator sono stati reclutati da Di Maio con la stessa superficialità con cui annunciò di aver abolito la povertà dal balcone di Palazzo Chigi.

«Oggi – disse l’allora vicepremier – inizia una rivoluzione nel mondo del lavoro, mettiamo il tassello fondamentale dei navigator, e molti giovani italiani quando arriveranno ai centri dell’impiego non troveranno più un’umiliazione, ma un’opportunità. Sono stato preso in giro ma questi ragazzi sono gli alfieri di un nuovo modo di portare avanti le politiche attive in Italia».

Questo piccolo e improvvisato esercito era stato caricato di funzioni oggettivamente improbe: oltre all’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, anche il controllo dei truffatori del reddito di cittadinanza: «Il sussidio – assicurò Di Maio – sarà erogato a livello nazionale ma la riforma dei centri per l’impiego darà la possibilità di conoscere ogni giorno chi sta percependo il reddito, come si sta formando, come si sta comportando e se ne ha diritto».

Abbiamo visto com’è andata. E nonostante la comprensibile difesa corporativa di chi rivendica il lavoro svolto e si sente scivolare via il posto, sfugge francamente la logica dell’ulteriore proroga di sei mesi che si sta profilando. L’incendiario leader della Uil Bombardieri ieri si è scagliato contro il ministro Giorgetti, reo di questa battuta ritenuta «vergognosa»: «I navigator non sono stati in grado di navigare».

Ma il ministro ha detto solo la verità.

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