I problemi del lavoro dimenticati dallo sciopero generale (ilsussidiario.net)

di Giuliano Cazzola

Ci sono problemi importanti, ognuno con le sue 
caratteristiche e specificità, nel mercato del 
lavoro che non vengono affrontati e 
conseguentemente risolti

È facile, comodo, ma disonesto dare risposte semplici a problemi complessi.

In primo luogo, perché i problemi rimangono irrisolti, ma soprattutto perché con questa pratica si riduce la politica a un insieme di slogan. Che cos’è la piattaforma dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil se non un insieme di slogan, di parole d’ordine sottratte alle striscioni delle manifestazioni di piazza? Vogliamo parlare della madre di tutte le questioni: l’occupazione?

Cgil e Uil chiedono di “contrastare la precarietà” e magari anche di “impedire le delocalizzazioni” (manu militari?). Questa iniziativa ha catalizzato l’entusiasmo di tanti “cattivi maestri” e di ex suonatori del piffero della rivoluzione, che si sono sprecati nel denunciare le diseguaglianze, i salari da fame o comunque più bassi di quelli di altri Paesi europei (guardandosi bene dal confrontare i livelli di produttività che da noi sono ancora più bassi dei salari).

Il declino culturale delle risposte semplici ha contagiato i sindacati, in particolare la Cgil che pure continua a far parte della mitologia del mondo del lavoro. Alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso la confederazione fu impegnata in un grande dibattito (in parallelo con quello in corso nel Pci).

Si era ai tempi del miracolo economico, ma vi erano profonde divergenze nell’analisi della situazione: un filone di pensiero sosteneva che l’Italia rimaneva un Paese povero, vittima di un capitalismo “straccione”; l’altra tesi era improntata a valutare le modifiche intervenute, sia pure con limiti e contraddizioni e solo in alcune aree del Paese, nell’organizzazione del lavoro e nei rapporti economici e sociali. Alla fine fu questa tesi a prevalere e portare la Cgil a condividere nuovi indirizzi nella contrattazione, più articolati e specifici.

Ovviamente ogni epoca ha le sue caratteristiche, anche per la statura dei gruppi dirigenti; tuttavia, è deleterio che delle grandi organizzazioni sindacali riducano a un’uniformità quasi plebea un mondo del lavoro che ha tante sfaccettare.

Osserviamo con attenzione quanto è accaduto durante la crisi economico-produttiva indotta dai vincoli esterni dell’emergenza sanitaria. I sindacati hanno rivendicato un blocco dei licenziamenti che con le proroghe è durato ben 500 giorni. L’esperienza ha evidenziato che la principale conseguenza è stato il blocco delle assunzioni e che nel complesso sono venuti meno un milione di posti di lavoro, soprattutto con rapporti a termine o flessibili.

I sindacati lamentano che le nuove assunzioni avvengono con contratti da loro definiti precari, ma non hanno una spiegazione plausibile per il fenomeno che si è verificato alla fine del blocco. Si temevano milioni di licenziamenti, sono in corso invece centinaia di migliaia di dimissioni.

Citiamo dei dati del ministero del Lavoro: “La crescita dei rapporti cessati riguarda tutte le cause di cessazione: tra queste l’aumento maggiormente significativo – scrive il Lavoro – è costituito dalle Dimissioni (pari a 85,2%) mentre una crescita più contenuta si registra nei Pensionamenti (+2,0%) nelle Altre cause (+12%) e nei licenziamenti (+17,7%, pari a +17 mila)” … leggi tutto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *