Nelle città uno sciopero generale di minoranza (corriere.it)

di Dario Di Vico

Da vecchi cronisti eravamo abituati al fatto 
che uno sciopero generale fermasse il Paese 
anzi lo paralizzasse, come da lessico dei 
tg della sera. 

Da ieri sappiamo che non è più necessario che sia così: è nato, infatti, lo sciopero generale di minoranza. Un ossimoro. La Confindustria sostiene addirittura che l’astensione dal lavoro ha riguardato meno del 5% degli addetti delle aziende iscritte, Cgil e Uil hanno fornito invece numero roboanti.

Ma la sostanza è quella di cui sopra: dal momento che Maurizio Landini e Pier Paolo Bombardieri hanno indetto l’agitazione il rilievo sindacale della protesta è andato sempre più affievolendosi a favore di un’evidente politicizzazione. È diventato importante per gli organizzatori riaccendere la fiammella del Conflitto piuttosto che presentare una piattaforma sindacale o una rivendicazione specifica.

Lo dimostrano l’insistenza del leader Cgil nell’indicare come bersaglio «i partiti, non Draghi», nel sostenere la tesi del sindacato «indipendente, invece che autonomo», nel lanciare il guanto della sfida al Pd e ai Cinque Stelle (noi abbiamo riempito le piazze, voi avete svuotato le cabine elettorali) e nel promettere che «torneremo ancora in piazza».

Landini capisce che con la sterzata dei Conte e dei Di Maio si è creato un vuoto e posiziona la sua Cgil come un centauro, metà politico metà sindacale, che punta a conquistare il consenso dei diseguali e degli astensionisti.

Nell’anno pre-elettorale non sarà facile ma il leader della Cgil ha fatto della caparbietà quasi un brand e tutto lo scetticismo esibito sul green pass, dunque, altro non era che una prova generale di un posizionamento post-populista.

Del resto non è nato dal nulla il ritornello intonato nei giorni scorsi dai fiancheggiatori dello sciopero: «Meglio che sia Landini a interpretare il Grande Disagio piuttosto che i terrapiattisti» … leggi tutto

(Simon Infanger)

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