Il Natale di Elvis (doppiozero.com)

di Chandra Livia Candiani

Mi chiamo Elvis. 

Sono un asino. Sì, un asino e allora? Veramente sul documento di nascita ero Ugo. E allora perché mi chiamano Elvis? Che ne so! Perché raglio forte e strampalato, tipo rockettaro? Che ne so!

Qui fa un freddo biscia. Sto in un recinto da solo. Perché? Perché sono Elvis, sono cattivo.

Hanno chiesto a me di raccontarvi una storia di Natale. Perché, voi lo sapete com’è il Natale di un asino? Il padrone viene più tardi, si dimentica di metterti l’acqua fresca, ti porta il fieno che magari è pomeriggio, dal sentiero non passa nessuno, manco un mezzo umano che ti venga a fare un saluto e ti porti un tozzo di panino secco. Si sentono campane, risate, battimani, si vedono fumare i comignoli. Qualche botto perfino. E io me ne sto qui a vagolare nel recinto, certe volte ficco la testa nei cespugli, dalla vergogna, mi nascondo al mondo.

Beh, la storia è questa: qui da queste parti c’è una specie di bambina con le rughe e una faccetta un po’ strana, un po’arrabbiata e un po’ disperata, cammina sempre da sola per i boschi e prima, ogni volta che passava di qui, mi veniva a trovare. Entrava proprio nel recinto, e mi portava cime di rapa, gambi di cavolfiore, buccia di rapa bianca o in estate foglie di robinia, erba fresca e trifogli, insomma roba buona, ricercata.

Poi mi accarezzava, ci si parlava, lei mi abbracciava perfino. Io mai! E beh, c’è un limite a tutto: sono Elvis, l’asino cattivo, quello isolato dal padrone che gli dà le bacchettate in testa e sulle orecchie. Sono Elvis il rockettaro, che raglia che lo sente mezza valle e i cinghiali scuotono la testa e i caprioli scappano con la coda che trema.

Beh, questa bambina con le rughe, che poi si chiama Chandra e le ho sentito dire che vuol dire luna, che gusti hanno gli umani, dolciastri e anche un po’ vanitosi: luna … sarà alta un metro e mezzo e crede di starsene in cielo con le stelle!? Cretina … Vabbè, però io a questa qui le volevo quasi bene, perché comunque non aveva paura di me e mi portava cose buone e parlava tenero.

Un giorno è arrivata, mi ha dato un po’ di foglie dure del cavolo, il cavolo verdura, non per dire foglie del cavolo di rabbia. Poi mi accarezza, mi parla e mi fa: “Elvis, ma sai che assomigli un po’anche a un lupo tu?!”

Beh in effetti, io ho pelo grigio, occhi intelligentissimi, muso allungato e poi ho un cuore coraggioso da paura. Così quando ha detto: “Adesso vado,” mi è montato in testa di farle la recita del lupo.

Ho tirato indietro le orecchie e sbattevo i denti, per farle una fifa blu. Niente, lei diceva: “Elvis, vieni fino al cancello, accompagnami che vado.” Non ci ho visto più! Le ho preso un braccio e l’ho tenuto nella morsa dei miei denti, ma forte eh!? Allora mi ha fatto paura: non mi ha pestato, non ha urlato, solo, tirava il braccio tutta meravigliata.

“Ma questa bambina è veramente pazza!” ho pensato e ho mollato la presa. Solo che ho sentito dire che dopo aveva tutto il braccio blu e dei punti duri duri sottopelle. Mi fa ridere, mi fa proprio ridere. Aveva una giaccaventina rossa, si è salvata così.

Beh, per un po’ non si è vista più. Poi, non è rispuntata? In piedi, vicino alla rete, mi ha guardato e io da lontano guardavo lei, negli occhi, ma silenzio. Tutti e due silenzio … leggi tutto

(Opera di Riccardo Paracchini)

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