Pensieri e riflessioni da cui siamo partiti per fare una cosa nuova, sul Post dal 13 gennaio
La scorsa estate, quando il dibattito pubblico attorno alla legge Zan si era fatto più intenso, il cantante e influencer Fedez aveva ospitato in diretta su Instagram il deputato del PD Alessandro Zan, primo firmatario del disegno di legge contro l’omotransfobia che per questo portava il suo nome.
In quei giorni si era parlato molto dell’attivismo delle celebrities che sostenevano il ddl Zan, e di come questo attivismo spesso non passasse solo dalla promozione della causa ma anche dalla spiegazione del contenuto del ddl, degli iter parlamentari attraverso cui quel testo sarebbe potuto diventare una legge, delle complesse manovre di ostruzionismo messe in atto dagli oppositori.
Qualcuno commentò con rassegnazione: ma come siamo messi, se la politica ai cosiddetti giovani deve spiegarla Fedez?
Pur comprendendone le intenzioni, al netto di un sarcasmo un po’ ingeneroso, quella domanda era probabilmente malposta: salvo pochissime eccezioni, chi spiega oggi la politica ai cosiddetti giovani, se non Fedez e in generale le celebrities che di tanto in tanto decidono di parlare di questo o di quel tema? Il discorso peraltro non riguarda soltanto i giovani: chi spiega oggi la politica alla grandissima parte delle persone?
A chi dovrebbe rivolgersi una persona che volesse capire come funzioni qualcosa che ha conseguenze gigantesche e ineguagliabili sulla propria vita – tutto passa dalla politica – e che però sembra, viene raccontata e forse è un mondo oscuro e inafferrabile nel quale si parla un linguaggio da iniziati, nel quale è impossibile distinguere i fatti dalle opinioni, nel quale le cose succedono o non succedono per ragioni spesso incomprensibili?
Per quanto siano intasati di programmi che ambiscono a definirsi “di approfondimento”, i palinsesti televisivi mescolano quasi sempre l’informazione con l’intrattenimento, allestendo talk show – appunto: show – in cui la spiegazione dei fatti viene schiacciata da vivaci scambi di opinioni, risse verbali e teatrini dalle battute prevedibili (“mi lasci finire!”, “io non l’ho interrotta!”).
Gli spazi che dovrebbero ruotare più attorno alle notizie che alle opinioni, cioè i telegiornali, raccontano la politica soprattutto attraverso l’acritico accostamento delle dichiarazioni di Tizio e Caio, e non hanno il tempo di approfondire. La stampa internazionale fa spesso un ottimo lavoro, ma il suo pubblico è inevitabilmente piccolo ed elitario.
I quotidiani trattano molto di politica, ma con un gergo da iniziati – i peones, i pianisti, i franchi tiratori, etc – e con articoli utili e interessanti annegati fra retroscena e interviste che non lo sono altrettanto. Sia la tv che i quotidiani, poi, hanno un pubblico sempre minore e sempre più anziano.
La radio ha un pubblico affezionato ma piccolo, e pochi spazi per l’approfondimento politico. I social media hanno un pubblico sempre più grande, ma affrontano la politica come affrontano tutto il resto: premiando chi urla più forte, approfondendo pochissimo e promuovendo i contenuti sulla base della loro “viralità” e non della loro qualità.
Ritorniamo quindi alla domanda da cui eravamo partiti. Chi spiega alle persone perché un governo sostenuto dalla Lega estenderà molto il numero di immigrati regolari da accogliere in Italia, apparentemente senza che sia un problema? O com’è successo che un partito anti-establishment che voleva uscire dall’euro oggi sostiene un governo guidato dall’ex capo della BCE?
O cosa sia cambiato nel Partito Democratico nel passaggio da Nicola Zingaretti a Enrico Letta? Ma anche: cos’è l’IRPEF? Come si elegge il presidente della Repubblica? Cos’è il semipresidenzialismo? Perché la sanità in Italia è gestita più dalle regioni che dallo Stato? … leggi tutto