ActionAid ha analizzato la situazione di alcune famiglie durante la pandemia
individuando le principali criticità su cui intervenire. Come spiega Roberto Sensi, per affrontare la crescita del fenomeno servono politiche preventive, reddituali ed educative, che vadano oltre la sola redistribuzione delle eccedenze.
Una delle conseguenze dell’aumento della povertà assoluta e relativa in Italia a seguito dell’emergenza pandemica è la difficoltà di accedere ad un cibo adeguato sotto il profilo quantitativo, nutrizionale e sociale. Ad oggi, non esistono stime appropriate sulla diffusione del fenomeno della povertà alimentare, mentre il numero di persone che si rivolgono agli enti di assistenza alimentare rappresenta è solo la punta dell’l’iceberg di un fenomeno molto più diffuso che dovrebbe essere misurato.
Povertà alimentare: un problema (non solo) definitorio
Le ragioni della mancanza di dati attendibili risiedono, da un lato nella oggettiva difficoltà di definire in cosa consista la povertà alimentare; dall’altro per la tendenza a considerarla come una mera conseguenza della povertà economica, perdendo così di vista le molteplici dimensioni che la caratterizzano.
Le conseguenze sul piano delle politiche di contrasto sono evidenti: prevale un approccio quantitativo che mira al soddisfacimento del bisogno e non all’affermazione del diritto. Il cibo, infatti, come la casa, il lavoro, la salute ecc., è un diritto umano fondamentale previsto dall’art.25 della Dichiarazione Universale sui diritti umani, dall’ Articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici sociali e culturali (ICESPR) e adottato in successive dichiarazioni internazionali, costituzioni e leggi nazionali.
Riconcettualizzare la povertà alimentare
Nell’ultimo rapporto pubblicato da ActionAid, “La fame non raccontata. La prima indagine multidimensionale sulla povertà alimentare in Italia e il Covid-19”, il fenomeno della povertà alimentare viene riconcettualizzato e indagato sul territorio metropolitano di Milano per mezzo di interviste qualitative a oltre 50 famiglie distribuite su quattro enti di assistenza alimentare1.
Oltre alle dimensioni materiali, scarsa quantità ma soprattutto qualità del cibo – il cui driver fondamentale è quello della mancanza di reddito – emergono con forza quei fattori cosiddetti immateriali, come la socialità e la dimensione psico-emozionale, che pur essendo più complessi da cogliere, sono incidono in modo determinante sulla qualità della vita e il benessere delle persone che soffrono di povertà alimentare e richiedono una risposta.
Il profilo delle persone colpite
Dall’indagine realizzata da ActionAid è emerso come la povertà alimentare abbia una natura prevalentemente femminile: le donne tendono a svolgere i ruoli principali nella preparazione e nella organizzazione del cibo, a farsi carico dello stress legato alla mancanza di risorse per l’acquisto dei prodotti alimentari, e sono anche le prime che rinunciano al cibo per il loro figli.
La povertà alimentare non è tanto e non solo un problema di quantità di cibo – anche se durante il primo lockdown si sono concentrati i casi di riduzione drastica del cibo assunto – ma di qualità e di possibilità di scelta. Una questione di dignità che viene minacciata dalla consapevolezza che non ti puoi concedere altro.
Le famiglie di origine straniera sono particolarmente esposte a questo fenomeno, rappresentando quasi il 60% del campione intervistato. Parliamo di famiglie regolarmente residenti in Italia a cui andrebbero aggiunti quegli irregolari, gli invisibili, che gli enti di assistenza alimentare cercano di intercettare ma che non godono di alcuna rete di protezione sociale.
La pandemia ha segnato un aumento nel numero di richieste di aiuto pervenute agli enti di assistenza, ma a rivolgersi a questi centri sono in maggioranza famiglie che già vi facevano riferimento prima, anche se non sono pochi i casi, il 37% degli intervistati, che si sono rivolti ai centri di assistenza successivamente … leggi tutto