Lo scioglimento delle Camere va usato con cautela,
perché incide sulla diversa durata nelle cariche, che è uno dei modi per non concentrare tutto il potere nelle mani di una maggioranza in un certo periodo di tempo
Uno dei temi entrati nel gran discorrere sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica è quello dello scioglimento del Parlamento. È opportuno o necessario che il prossimo presidente sciolga le Camere? Dovrebbe esser eletta come presidente una persona disposta a sciogliere le Camere?
I sostenitori della tesi dello scioglimento adoperano l’argomento che le rappresentanze parlamentari del 2018 non corrispondono più al peso odierno delle forze politiche nel Paese: il M5S si è più che dimezzato, Forza Italia si è quasi dimezzata, Fratelli d’Italia si è quasi quadruplicata, la Destra ha complessivamente guadagnato dieci punti.
Non mi soffermo su due aspetti congiunturali. Primo: la volatilità dell’elettorato è tale che altri cambiamenti potrebbero intervenire da qui alle auspicate prossime elezioni; ad esempio, la Lega, dopo la vistosa crescita del settennio precedente, negli ultimi due anni ha perduto più del 40 per cento del consenso conquistato.
Secondo: è realistico pensare che un presidente da poco eletto mandi a casa i suoi elettori, sapendo che da un terzo a metà di essi non ritorneranno nei seggi parlamentari, per l’effetto congiunto della riduzione di un terzo dei parlamentari e dei cambiamenti intervenuti nell’opinione pubblica?
Sono, invece, importanti due aspetti strutturali, e questi riguardano il potere di scioglimento e le durate nelle cariche dei vertici dello Stato.
«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse»: così dispone l’articolo 88 della Costituzione. È un potere enorme, che non può essere esercitato nell’ultimo semestre del settennio presidenziale e richiede solo una consultazione dei due presidenti e la controfirma governativa (da alcuni ritenuta un mero riscontro formale), ma che può essere esercitato in circostanze e per motivi che la Costituzione non indica e persino senza che il presidente dia una motivazione.
É chiaro che il presidente possa sciogliere le Camere in caso di crisi di governo e di impossibilità di formare una nuova maggioranza. Uno dei padri della Costituzione ha scritto che può farlo anche se gli organi rappresentativi rimangono sordi alla voce del Paese o se il governo si trova in una situazione di sfiducia chiaramente risultante dalle manifestazioni dell’opinione pubblica. Ma come si accerta un cambiamento dell’opinione pubblica? Bastano elezioni locali e sondaggi? E si può contare su tali cambiamenti in presenza di mutamenti frequenti dell’opinione pubblica, che potrebbero far temere orientamenti in senso inverso o diverso?
Da questi interrogativi si capisce che il potere di scioglimento è una clava che va usata con molta discrezione. Cautela ancor maggiore suggerisce lo scioglimento in quanto muta, in situazioni particolari, la durata nella carica dei titolari del maggiore organo costituzionale.
I costituenti dosarono attentamente le durate delle più alte cariche dello Stato: 12 anni per i giudici costituzionali, 7 per il presidente della Repubblica, 6 anni per i senatori, 5 anni per i deputati … leggi tutto