di Emanuela Audisio
Era uno che dettava legge anche al presidente degli Stati Uniti. Tanto che Obama, nel giorno dell’addio l’aveva copiato.
Salutando tutti i giornalisti, corrispondenti della Casa Bianca, aveva fatto come lui: aveva preso il microfono in mano e lo aveva fatto cadere platealmente a terra. Così, con il “mic-drop”, Kobe Bryant nel 2016 aveva salutato per sempre il mondo del basket, e così Obama diceva addio all’America.
Questo per dire chi era Kobe. Non solo un campione dell’NBA, terzo miglior marcatore di sempre fino all’altra notte, quando è stato superato da LeBron James, ma l’uomo che aveva fatto rivivere l’American Dream dopo l’uscita di Michael Jordan. “Black Mamba”. Il soprannome da serpente letale se l’era dato lui, e poteva con 5 titoli NBA, due ori olimpici e le sue due maglia (n. 8 e 24) ritirate dai Los Angeles Lakers, unica squadra della sua vita per 20 anni.
Onore concesso solo a lui. Kobe aveva l’ossessione del gesto e della mentalità perfetta, quando gli chiedevano dove fosse l’11 settembre, rispondeva: “Ad allenarmi”. E lo faceva, in palestra tra le 5 e le 6 della mattina … leggi tutto