«Sette anni di persecuzione»[1]: il fascismo e gli ebrei
Al contrario della prima memorialistica della deportazione, dove è il momento traumatico dell’arresto l’incipit delle narrazioni, per entrare subito nel vivo dell’esperienza del lager – quasi che il tempo del prima contasse assai poco –, gli scritti autonarrativi ebraici posteriori, quelli dei «salvati», cominciano invece quasi sempre dal cruciale 1938.
L’annus horribilis delle leggi razziali e della violentissima campagna antisemita scatenata dal regime costituisce uno snodo periodizzante nella memoria delle vittime: il momento di avvio nel «deserto del peggio»[2]. Il tempo precedente questa cesura viene rievocato con rimpianto, talvolta miticamente come un’età dell’oro perduta, quando le esistenze si snodavano sicure e fiduciose, fino all’irruzione dolorosa e sorprendente del 1938 che spezzò per sempre un mondo armonico imponendo una separatezza percepita come ingiusta e inaspettata[3].
L’effetto-sorpresa fu inferiore soltanto nella minoranza degli ebrei antifascisti, che avevano già avuto modo di conoscere il regime e misurarne la faccia feroce[4] … leggi tutto