di Mauro Felicori
L’assessore regionale alla Cultura:
«A Bologna tanti hanno trovato comodo lasciare ai “comunisti” il governo della città. Isabella Conti doveva rivendicare di più il risultato»
Anno nuovo, ora che c’è stata la nomina della giunta della Città Metropolitana con la conferma di Giampiero Veronesi al Bilancio nonostante il suo passaggio ad Italia Viva, possiamo considerare chiusa la vicenda elettorale bolognese e fare qualche prima riflessione.
Diciamo subito che va elogiato il coraggio di Isabella Conti, che ha imposto le primarie sfidando il candidato predestinato dalla sedicente maggioranza del Pd, dai conservatori di Coraggiosa, dai populisti 5 Stelle.
Felicori: «Città che tende al conformismo politico»
Una scelta da ammirare, in una città che tende al conformismo politico; dove la borghesia, gli intellettuali e le professioni per decenni hanno trovato più comodo lasciare ai «comunisti» l’amministrazione pubblica che sfidarli con una alternativa liberale; dove la generazione dei quarantenni non ha finora mostrato una particolare radicalità esprimendo rappresentanti piuttosto inclini all’opportunismo e sensibili alla carriera. E bravi anche Alberto Aitini e Marco Lombardo.
Le primarie e la loro vivacità
La sfida delle primarie non solo ha dato vivacità ad una campagna che altrimenti sarebbe stata più che noiosa, ma ha anche dato credibilità, sia pure entro i limiti che diremo, alla elezione di Matteo Lepore, che dovrebbe essere grato alla Conti tanto quanto noi che l’abbiamo sostenuta senza incertezze.
Prima gli ha dato legittimità, poi lo ha lealmente sostenuto nella campagna elettorale vera e propria, nonostante la Rossi & Partners abbiano più volte giocato sporco: prima di tutto non prevedendo il perimetro della coalizione, per cui abbiamo avuto primarie con due forze politiche – 5 Stelle e Coraggiosa – che si sarebbero sentite parte della coalizione solo se avesse vinto Lepore, e del tutto libere in caso contrario; e poi usando una violenza verbale, contro Renzi e diversi di noi, inconciliabile con il fair play insito nel concetto stesso di primarie; infine stigmatizzando la libertà di impegno e di voto di iscritti al Pd alla Conti, pur non essendo Lepore espresso legalmente dal Pd fino alla richiesta di provvedimenti disciplinari per Aitini e Lombardo (secondo me, per di più, i candidati di partito in primarie di coalizione sono contro lo spirito delle primarie e non potrebbero obbligare alla disciplina di partito).
Isabella Conti e il risultato da rivendicare
Nonostante la sparizione dell’area cattolico-moderata e l’attardarsi di tanti esponenti dell’area laico-socialista nella vecchia idea che il Pd possa e voglia rappresentare l’insieme delle componenti del centro-sinistra, Isabella Conti ha avuto un ottimo risultato, che avrebbe dovuto rivendicare con più fierezza e che meritava una gestione più orgogliosa, dichiarando la partecipazione alle primarie come nulla più che la prima tappa verso una piena rappresentanza nelle istituzioni di una base sociale riformista che è crescente anno dopo anno ma non trova uno sbocco adeguato.
In poche parole: si doveva e si deve tenere aperta una dialettica, amicale ma severa, con l’area conservatrice per ora maggioritaria nel centro-sinistra. E invece abbiamo vissuto qualche mese di sospensione della iniziativa riformista, conclusa con l’assenza dell’area-Conti dalla giunta, e aperta da una scelta ben più grave: la esclusione dei Pd filo-Conti dalle liste Pd, quindi la omologazione a Lepore della stessa rappresentanza consiliare, in piena contraddizione con il principio stesso della democrazia rappresentativa.
Come avrebbe dovuto ricordare Luciano Sita, che di comunisti dovrebbe intendersene ma qualcosa evidentemente ha dimenticato, nemmeno il vecchio Pci aveva mai mutilato le rappresentanze consiliari delle diverse sensibilità che quel partito esprimeva con un pluralismo ben più ricco dell’attuale partito che pure si definisce democratico.
L’area liberale da rappresentare
C’è poi materia di riflessione anche per i sostenitori delle primarie come metodo eccellente di selezione dei candidati. In un bipolarismo imperfetto come quello bolognese, in cui la destra ha minime possibilità di vittoria, salvo regali come quello del ’99, parrebbe che basti vincere le primarie per conquistare tutto il bottino: in altri termini, con poche migliaia di voti, vinte le primarie, è una passeggiata.
Con 16mila voti si conquista il Comune e, in regalo, la Città metropolitana. Come in certe catene aziendali, in cui partendo da una minoranza azionaria capace di controllo, si conquistano aziende sempre più grandi. Obiettivamente, c’è qualcosa che non torna. In ogni caso, la vicenda elettorale bolognese finisce qui. Si ricomincia e il tema resta quello di dare rappresentanza ad un’area liberale, socialmente ispirata, che è ormai larghissima ma non trova portavoce.
Per farlo, bisogna essere davvero convinti che il Pd non è più in grado di riformarsi e avere la forza di pagare qualche prezzo nelle carriere per un certo tempo. Altrimenti si finisce ogni volta per portare voti che perdono di peso in breve tempo.