Quirinale, D’Alema e gli altri leader del «partito dei rancori» sulla strada per il Colle (corriere.it)

di Antonio Polito

Dalla battuta dell’ex premier che sferza renziani 
(e antirenziani), all’opposizione di Conte 
all’ascesa di Draghi al Quirinale. 

Ecco come le antipatie personali condizionano la sfida

Il Gran Maestro, il vero Obi-Wan Kenobi del Partito del Risentimento è naturalmente Massimo D’Alema. La sua ultima uscita è un piccolo capolavoro del genere . Per poter rientrare nel Pd chiarisce subito che ha fatto bene ad uscirne. E non maltratta solo Renzi e i renziani, definiti una «malattia», seguendo uno stile che applica le categorie della psichiatria alla lotta politica e che risale ai bolscevichi.

Ma aggiunge anche che la malattia si è curata da sola, così da mettere in chiaro che non solo i renziani erano una tabe, ma anche gli anti-renziani rimasti nel Pd erano dei fessi. Tra costoro, ovviamente, include l’attuale segretario del Pd. L’unico che aveva capito tutto era lui. Si deve dunque solo a un destino cinico e baro se il successo elettorale del suo partitino è tale da consigliare di ri-scioglierlo nel Pd.

Un trionfo del risentimento capace perfino di suturare per un istante quello storico tra Letta e Renzi, che si odiano sì fraternamente, ma non quanto tutti e due odiano D’Alema.

Intendiamoci: il risentimento non è mai stato qualcosa di estraneo alla politica. Ne è anzi una componente fondamentale. Nella patria della democrazia, gli Stati Uniti, è anzi diventato l’anima di una guerra vigile strisciante chiamata «polarizzazione». Ma forse è per questo che furono inventati i partiti di massa, proprio per metabolizzare il desiderio di rivalsa che inevitabilmente avvelena le personalità in conflitto.

E niente come la storia delle grandi battaglie per il Quirinale sta lì a dimostrare che invece, in quella arena, devi proprio «secolarizzare» gli odii del passato e sublimarti in un’altra dimensione, che è per l’appunto politica.

Per esempio: non dev’essere stata cosa da poco per Craxi, alfiere del partito della trattativa durante il caso Moro, eleggere nel 1985 come presidente Francesco Cossiga, che invece della linea della fermezza era stato l’inflessibile esecutore dalla postazione di ministro dell’Interno.

E così il Psi votò per l’uomo il cui nome la sinistra parlamentare scriveva sui muri con la K e le SS. E il Pci votò per l’ex premier che aveva aperto la porta di Comiso agli euro-missili americani, puntati contro l’Urss. Perché sia Craxi sia Natta capirono che era il male minore. Risultato: 752 voti al primo scrutinio, su 977.

Né deve essere stato facile, qualche anno prima, nel 1964, per Pietro Nenni, candidato delle sinistre lanciato in testa alla gara dalla faida democristiana, mettersi da parte a un certo punto e chiedere sia al suo partito che ai comunisti di votare per Giuseppe Saragat, fratello-coltello della scissione socialista, l’uomo che se n’era andato per fondare un partito concorrente, il Psdi, e togliergli i voti.

Eppure Nenni lo fece. Perché per la sinistra era meglio Saragat che Leone (il quale poi si prese la rivincita sette anni dopo) … leggi tutto

(Eric Herni)

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