Scrivendo di Saartjie Baartman,
la Venere nera, mi sono stupito di trovarla, unico umano, nella Histoire naturelle des mammifères: avec des figures originales, coloriées, dessinées d’après des animaux vivans di Etienne Geoffroy Saint-Hilaire e Frédéric Cuvier, individuata come femmina boscimane. A giustificare la sua presenza, due tratti fisici peculiari, il “cuscino posteriore delle Ottentotte”, come lo chiamava Cesare Lombroso, e il “grembiule” delle Ottentotte stesse, l’iperplasia delle piccole labbra.
Il corpo non conforme relegava nel regno animale, evidentemente, mai ci sarebbe finito uno studioso di anatomia comparata francese, come gli autori.
Scorrendo le cartelle cliniche dell’ex ospedale psichiatrico di san Servolo a Venezia, per una ricerca sull’istituzionalizzazione dell’autismo (pubblicata nel libro collettivo A sé e agli altri, Mimesis, 2013), era ricorrente il riferimento all’“animalità” di alcuni ricoverati, inadatti alla partecipazione al consorzio umano per la loro “bestialità”.
Del resto era frequente trovare, nella classificazione della nosografia psichiatrica dell’Ottocento, un parallelismo tra gli “idioti” e alcune tipologie animali, secondo il grado di compromissione, tanto che a fine secolo, tirando le fila della lunga storia ottocentesca delle categorie, Paul Sollier spiegherà le ragioni dell’inadeguatezza del criterio.
Non di meno ricorre anche nel suo testo, Psychologie de l’idiot et de l’imbécile (1891), il raccordo tra la disabilità cognitiva e relazionale e l’animalità: “Se bisogna senz’altro ammettere nell’uomo un’anima secondo la concezione spiritualista, caratteristica dell’uomo e assolutamente differente nei suoi attributi superiori da quella degli animali, si deve convenire che si sarebbe imbarazzati nell’accordarne una simile a un idiota incapace di parlare, cosa che è la vera caratteristica dell’uomo” (Sollier, 1891, 146-7).
Ci ritroviamo così a tematizzare l’intersezionalità inedita che sostanzia il volume di Sunaura Taylor Bestie da soma: disabilità e liberazione animale, recentemente tradotto da feminoska e da lei curato con Marco Reggio per Edizioni degli animali. I Critical Disability Studies recenti, come molti altri ambiti emancipativi delle scienze sociali, si sono caratterizzati per l’affermarsi di discorsi “intersezionali”, per l’ibridamento con la triade class/gender/race, ma non solo, e l’apertura ad altri orizzonti, come in questo caso lo specismo, ha contribuito ad arricchirne il panorama teorico, a renderli uno degli orizzonti di discorso più interessanti e vivaci delle scienze sociali contemporanee.
Il libro di Sunaura Taylor è un ulteriore contributo prezioso alla disciplina, e spicca per qualità e originalità dell’argomentazione.
Artista visuale, autrice e attivista, Taylor ha raccolto e intrecciato in modo esemplare i discorsi che connettono attivismo disabile e animalista, in un percorso in cui l’esperienza di persona con artrogriposi, conseguenza dell’inquinamento chimico prodotto da installazioni militari prossime alla casa dei genitori, si coniuga alla sensibilità antispecista, coinvolgendo i due piani in una serie di interazioni virtuose, prefigurando orizzonti emancipativi comuni: “Un pensiero mi ha attraversata: se l’oppressione animale e quella di chi è disabilitato sono intrecciate, non si potrebbe dire lo stesso dei rispettivi percorsi di liberazione?” (p. 40).
Lo sviluppo dei capitoli asseconda il concatenamento di una pluralità di temi e prospettive, che non è facile riepilogare, tanti sono i fronti su cui si muove l’argomentazione. Provo a raccogliere alcune suggestioni … leggi tutto