Fatta la legge, trovato l’ingannoL’applicazione all’italiana delle regole Ue sulla plastica monouso (linkiesta.it)

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Dal 14 gennaio una direttiva ha escluso dal 
mercato europeo alcuni prodotti, per altri è 
prevista una riduzione del consumo. 

Ma la norma che la recepisce nell’ordinamento nazionale contiene esenzioni e deroghe che rischiano di limitarne gli effetti

Fatta la legge, trovato l’inganno: ma in questo caso è il legislatore stesso a prevedere una serie di eccezioni che ammorbidiscono il divieto di utilizzo di oggetti di plastica monouso, in vigore in Italia dal 14 gennaio.

L’eccezione che annacqua la regola
La direttiva europea 2019/904 mette al bando nei Paesi dell’Unione europea una serie di oggetti in plastica, come posate, piatti, cannucce, contenitori alimentari in polistirolo. Altri, come le tazze di plastica o le vaschette dei fast food sono ancora concessi, ma il loro consumo dev’essere ridotto. Altri ancora, le bottiglie, dovranno avere i tappi incorporati ed essere fatte con percentuali crescenti di materiale riciclato (il 25% dal 2025 e il 30% dal 2030).

È entrata in vigore formalmente il 3 luglio 2021, ma molti Paesi hanno tardato a «recepirla», cioè a tradurla nella propria legislazione nazionale. L’Italia lo ha fatto con il decreto legislativo 196, pubblicato lo scorso 30 novembre in Gazzetta ufficiale e attuato 45 giorni dopo l’emanazione.

Nel testo, tuttavia, sono presenti alcune specifiche aggiuntive rispetto alla direttiva originaria, che sembrano limitarne in maniera consistente il raggio d’azione.

Il primo dei punti critici riguarda il concetto stesso di «prodotto di plastica monouso», che per le istituzioni europee è quello non riutilizzabile, composto «in tutto o in parte» da polimeri. Il decreto italiano, invece, aggiunge una postilla alla definizione di plastica, al comma 1 dell’Articolo 3: sono esclusi «materiali quali vernici, inchiostri, adesivi, nonché rivestimenti in plastica aventi un peso inferiore al 10% rispetto al peso totale del prodotto».

La specifica può «salvare» dal divieto diversi oggetti, così come faranno le deroghe previste all’articolo 5, che nella formulazione europea suona categorico: «Gli Stati membri vietano l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nell’allegato B e dei prodotti di plastica oxo-degradabile».

L’allegato in questione dettaglia tutti quegli oggetti che non sarà possibile commerciare, tra cui cotton fioc, posate, piatti e cannucce. Due delle eccezioni previste dalla normativa italiana suscitano perplessità: sono accettati prodotti monouso, purché in plastica biodegradabile e compostabile, «ove non sia possibile l’uso di alternative riutilizzabili a prodotti destinati ad entrare in contatto con alimenti» e «in circostanze che vedano la presenza di elevato numero di persone».

Deroghe di questo tipo non esistono nella norma comunitaria, perché gli studi d’impatto della Commissione hanno già verificato per quali prodotti esista un’alternativa riutilizzabile (quelli dell’allegato B, appunto, da eliminare completamente) e quali invece siano al momento insostituibili (quelli dell’allegato A, di cui si chiede di ridurre il consumo).

Le stesse valutazioni avevano espressamente equiparato alla plastica tradizionale quelle biodegradabili e compostabili, per l’assenza di prove sulla loro effettiva biodegradazione completa in un arco di tempo ragionevole. La scelta era stata molto criticata dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che ai tempi aveva definito «assurda» la direttiva.

Forse per questo, la trasposizione italiana prevede tali eccezioni, insieme ad altre che autorizzano prodotti monouso in plastica biodegradabile «qualora l’impiego sia previsto in circuiti controllati che conferiscono con raccolta differenziata i rifiuti al servizio pubblico» oppure «quando l’impatto ambientale del prodotto riutilizzabile sia peggiore delle alternative biodegradabili e compostabili monouso» … leggi tutto

(Volodymyr Hryshchenko)

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