Gli ucraini combattono, e lo fanno anche per noi (corriere.it)

di Antonio Scurati
Guardando al dramma vediamo solo vittime. 
Ma la resistenza ha validi motivi, come quella dei nostri nonni
Gli ucraini combattono. Il popolo ucraino è in piedi e combatte. Lungo le coste del Mar Nero, nelle sterminate steppe del Nipro, nelle periferie di Kiev, strada per strada, combatte.
Va ripetuto, ribadito, compreso, proprio nel giorno luttuoso della strage dei bambini all’ospedale di Mariupol, perché va affermandosi l’idea degli ucraini come vittime, prone al massacro, con il rischio di dimenticare che il loro coraggio non è solo quello della sofferenza ma è anche il coraggio della lotta. E questo fa un’enorme differenza.
La tendenza di noi, europei d’Occidente, a identificarci soltanto con le vittime — e la concomitante incapacità di assumere la posizione simbolica del combattente — ha una lunga storia. È una storia di luci e di ombre, una storia di emancipazione, di progresso e di civiltà ma è anche una storia di declino morale, di torpori egoistici, di cecità politica.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia imprime a lettere di fuoco il ripudio della guerra nella propria carta costituzionale. La lotta, anche armata, continua, purtroppo, ad essere all’orizzonte della politica finché dura la delirante prospettiva rivoluzionaria. Poi, con l’avvento dell’edonismo individualista degli anni ’80, per gli italiani, e per gran parte degli europei d’Occidente, la possibilità stessa di prendere parte a un combattimento inizia a divenire addirittura inconcepibile.
Attenzione: questo non significa affatto che le guerre cessino di esistere, che l’Europa smetta di parteciparvi e nemmeno che si sviluppi una solida, diffusa cultura pacifista (la quale porta con sé anche una cultura della guerra, nel senso di patrimonio di cognizioni, esperienze, conoscenze su cosa sia la guerra, dove si origini, quali conseguenze abbia etc.).
Fiorisce, dapprima, in Europa un pacifismo consapevole, fattivo, industrioso, talvolta eroico (si pensi alla esemplare opera di Emergency, per dirne una), poi, con il trascorrere del tempo e lo svanire del ricordo, dilaga un pacifismo istintivo, puerile, miope, ipocrita, egoista, per il quale la guerra diviene qualcosa che riguarda sempre e soltanto gli altri, che altri combattono in nostro nome, che noi ci limitiamo a guardare in televisione.
È allora che l’Occidente europeo smarrisce il senso della lotta (e della storia, che è sempre lotta per la storia).

Ecco perché, guardando al dramma ucraino, vediamo solo vittime. Il nostro non è, però, uno sguardo pietoso, commosso, partecipe. Vedendo solo vittime, in tanti, troppi, dalle nostre parti, non comprendendo la tragedia di quel popolo di combattenti, arrivano perfino a rimproverargli la sua coraggiosa resistenza. Perché — sento dire da molti — hanno sfidato la Russia?

Perché si ostinano a resisterle militarmente, prolungando la carneficina? Perché noi dovremmo armarli, rendendoci complici del massacro? Non è, forse, preferibile la resa?

La risposta è no. Per ragioni pratiche, politiche e, ultime ma non ultime, ideali. Se gli ucraini avessero subito passivamente l’invasione russa sarebbero divenuti un popolo asservito, sfruttato, oppresso … leggi tutto

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