La pentola di Freud e il paternalismo sulla resistenza ucraina (ildubbio.news)

di Lanfranco Caminiti

Da eroe a ingombro, la parabola di Zelensky nel 
dibattito sull’invio di armi

Dice Yassin al Haj Saleh, scrittore siriano, in un articolo su «Internazionale» del 9 marzo – Perché l’Ucraina è una causa siriana: «Questa aggressione si basa su tre pretesti contraddittori. Primo, “denazificare” l’Ucraina, un obiettivo che renderebbe questa guerra una continuazione della Grande guerra patriottica dell’Unione Sovietica contro Hitler, piuttosto che delle guerre espansionistiche di Putin in Cecenia, Georgia, Crimea e Siria. Secondo, “smilitarizzare” l’Ucraina, o distruggere le sue forze armate e impedire che possa mai entrare nella Nato.

E terzo l’idea che l’Ucraina non sia una “vera nazione”, come sostiene Putin, bensì una parte della Russia. Viene in mente la storia della “pentola” di Freud, nella quale un uomo che aveva preso a prestito una pentola dal suo vicino la restituisce danneggiata. Per assolvere se stesso, fornisce tre argomentazioni: la pentola non era danneggiata al momento della restituzione; era già danneggiata quando l’aveva presa in prestito; non aveva mai preso in prestito la pentola».

Queste argomentazioni sulla “pentola” si ritrovano nelle parole di chi, pur augurandosi che presto si instauri una trattativa, si oppone all’invio di armi alla resistenza ucraina. In questo caso, le tre argomentazioni sono: primo, l’Ucraina ha già perso, nel momento stesso in cui i russi sono entrati, e quindi che senso ha inviare armi; secondo, l’Ucraina non può mai vincere contro un esercito estremamente più forte e meglio equipaggiato, nonostante le armi che possiamo inviare; e terzo, l’Ucraina non avrebbe mai dovuto resistere.

Ovviamente, in tutta l’argomentazione non viene tenuta in alcuna considerazione quello che dice la “pentola” stessa, ovvero gli ucraini, che chiedono di essere armati per poter resistere e che oppongono un argomento semplice eppure incontrovertibile: meno siamo armati e meno possiamo resistere.

C’è anche chi non si avviluppa in pretesti contraddittori, ma mira dritto al sodo. È il caso di Pablo Iglesias di Podemos, Spagna, che in un breve testo “schietto” pone la domanda: Quale è il dibattito che dovremmo affrontare? E il dibattito che dovremmo affrontare non è se gli ucraini hanno diritto a difendersi, perché ne hanno diritto. Iglesias si è rivolto a un amico generale – un “esperto”, insomma – per sapere come militarmente gli ucraini potrebbero sconfiggere l’esercito russo e la risposta è stata: «Una missione militare internazionale guidata dagli USA con altri paesi NATO, e soldati spagnoli, francesi, tedeschi».

Perciò, la domanda da porsi, dice Iglesias, è la seguente: «Quello di cui si deve discutere è se siamo disposti a entrare in guerra con la Russia». E la risposta è: «Il discorso qui non è mandare armi; il discorso è se dobbiamo accettare di entrare in guerra con una potenza nucleare: inviando armi non si cambiano i rapporti di forza. Quello di cui stiamo parlando è entrare in guerra con una potenza nucleare».

E chi mai potrebbe volere entrare in guerra con una potenza nucleare? Soprattutto, chi lo vorrebbe fare per gli ucraini? Sfugge a qualunque lettore il nesso stretto che Iglesias pone tra l’invio di armi e la guerra nucleare: gli ucraini hanno chiesto una “no fly zone” applicata dalla Nato, che impedirebbe ai russi di bombardare le città dal cielo, ma significherebbe un conflitto aperto, e gli è stato risposto di no, in tutte le salse.

Gli americani si sono anche opposti al transito di vecchi aerei MIG, in possesso della Polonia, verso i piloti ucraini. La stessa Polonia e l’Ungheria, che avevano dato una prima disponibilità aerea, si sono poi tirati indietro. Il cielo, insomma, resta prerogativa russa e della non proprio potentissima contraerea ucraina. Ma tutto questo c’entra relativamente con “l’invio di armi” che, in una definizione via via più ristretta, si limitano alla guerra convenzionale tra il fango e la neve, nelle strade, casa per casa.

Che c’entra la guerra nucleare? C’entra solo perché è l’argomento “definitivo”, quello di fronte al quale tutti si ritraggono spaventati e intimiditi. Per spegnere il dibattito sull’invio di armi convenzionali, Iglesias usa il terrore della bomba atomica. Anche qui, nessuno sta a ascoltare cosa dice la “pentola” medesima, ovvero gli ucraini.

Peraltro, c’è una leggera inquietudine, diciamo così, che ci prende in proposito: sappiamo che l’unica deterrenza alla guerra nucleare è il fatto che chiunque la scateni sa di “ricevere” la stessa apocalisse che può provocare … leggi tutto

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