di Mario Lavia
Intellettuali, giornalisti e militanti che un tempo tifavano per Tupamaros o Hezbollah non riescono a solidarizzare con gli aggrediti perché non rientra nel loro schema rigido terzinternazionalista.
Vogliono la resa di un popolo martoriato dalle bombe per farla finita con questa seccante deviazione della Storia
Ma basta armi all’Ucraina, scrive scandalizzato Tommaso Di Francesco sul Manifesto, basta, ne ha già tante! «Nei tre mesi dell’ammassamento di truppe russe alla frontiera, ogni paese occidentale ha inviato tonnellate di armi e istruttori a quel paese», dice il giornalista del quotidiano fondato da Pintor e Rossanda, ricordando poi che è pieno di foreign fighters e soprattutto che «il paese che le invia diventa cobelligerante» (quello che sostiene Lavrov, per capirci): e che vogliamo entrare in guerra?
C’è da stropicciarsi gli occhi davanti alla sinistra estrema che per decenni non ha certo disdegnato le armi quando si è trattato di Tupamaros o Hezbollah (e lasciamo perdere qui certe pagine del ’77 italiano) e che oggi sembra travestirsi da Aldo Capitini e bellamente sostituire Gandhi a Che Guevara.
Pacifisti questi antichi teorizzatori, se del caso, della guerriglia?
È un’illusione ottica che deriva dal fatto che, a differenza del pacifismo integrale (che è una cosa seria, infusa persino di un anelito religioso), questi hanno intesta il solito binario: Stati Uniti contro resto del mondo.
Dunque soprattutto bisogna essere contro l’America, e se l’America (di Donald Trump o di John Fitzgerald Kennedy è la stessa cosa) oggi è con Kiev allora che Kiev cada, qualche colpa ce la deve avere per forza, altrimenti nello schema terzinternazionalista che non ha mai abbandonato questo modo di pensare, i conti non tornerebbero.
È la logica di Donatella Di Cesare, fin troppo bersagliata per insistere qui, che si rifugia nel caro vecchio schermo della complessità pur di non ammettere che tutto il mondo civile sta giustamente con l’Ucraina, pur di non sottoscrivere gli appelli a sostenere Kiev con tutti i mezzi che vengono da Joe Biden, Emmanuel Macron, Mario Draghi e tanti altri; e se la metti alle strette, facendo semplicemente osservare che qui c’è un Paese invasore e un altro che è vittima dell’invasione, allora la professoressa di filosofia teoretica (ma che hanno i filosofi da un po’ di tempo?) la butta un po’ dalemianamente in tribuna: «Ma dov’è la politica?».
La politica è momentaneamente sospesa a causa delle bombe, cara professoressa: non è complesso, questo.
Insomma, presso intellettuali, giornalisti e militanti della super-sinistra c’è come un fastidio per una guerra condotta dagli ucraini per quello che è, una guerra di libertà: fastidio per non averlo previsto – loro che hanno categorie forti alle spalle, dal materialismo storico in giù -, fastidio per un popolo “non nostro” – gli ucraini non sono i vietcong né i campesinos né i palestinesi – persino, anzi, in odore di nazismo (come dice Putin), fastidio soprattutto perché pone nuovamente dalla parte giusta della Storia lo Zio Sam, il banchiere italiano, il bonapartista di Parigi, insomma i capi della classe avversa, i cattivi (la cricca avrebbe detto Marx) che faranno pagare l’economia di guerra agli operai.
Ma di quale resistenza si parla? – si scandalizzano – non capite che le armi prolungano i conflitti e dunque fanno più morti? Li ha dialetticamente distrutti un intellettuale certo non amerikano come Luigi Manconi, sostenendo che «con questa logica, si sarebbe dovuto rinunciare a gran parte delle azioni armate della Resistenza, con l’inevitabile mortificazione di qualunque ruolo dell’Italia nella guerra di liberazione e di qualunque successiva ambizione all’indipendenza e alla sovranità nazionale».
Bisogna capire, ma cosa bisogna capire? Dice a sproposito Nadia Urbinati scomodando Norberto Bobbio che lei si rifà al pensiero antidogmatico. Più che antidogmatico è un pensiero contro i fatti, quindi dogmatico nel senso che è pregiudiziale e ideologico: e fanno pure le vittime, loro, presenti in tutti i talk show e su tutti i giornali.
Questa sinistra vuole la resa di un popolo offeso, invaso e martoriato dalle bombe per farla finita con questa deviazione della Storia, questo improvviso protagonismo di masse mai prima prese in considerazione, questo ritorno di internazionalismo non nel senso di Lenin o Trotskij ma in quello della religione universale della libertà, questa sinistra che non vede l’ora di smetterla con pandemie e guerre – un po’ signora mia, si – e non vede l’ora di rituffare il naso nei piattini di caviale su qualche terrazza romana per criticare il riformismo e la libera America, proprio quel caviale di cui Biden ha vietato l’importazione negli Usa e che dà l’imperituro nome – gauche caviar – agli innamorati del Secolo breve che fuggono a gambe levate davanti a un tempo che non capiscono più.
(Oxa Roxa)