Davanti alla pandemia abbiamo fatto meglio di quanto avevamo fatto un decennio prima verso la crisi economico-finanziaria.
Adesso non basta la sola unità d’intenti
In Europa, ma non solo, la guerra della Russia contro l’Ucraina ha scosso equilibri fondamentali. A prescindere dalle idee di ciascuno lo sentiamo tutti. Anche dopo la fine della Guerra fredda ci sono stati molti, lunghi e nefasti conflitti bellici e contrasti suscettibili di degenerare.
Eppure, a torto, venivano considerati circoscritti, perfino quando vi partecipavamo o ne subivamo effetti indiretti. Certo allarmavano, provavamo commozione per le vittime, speravamo che terminassero: però, mai come adesso c’era stato un coinvolgimento emotivo e uno smarrimento così profondi. Tre fattori, in particolare, sembrano determinare il diffuso stato d’animo: le terribili immagini, le sofferenze dei civili inermi; il coraggio di un popolo che si difende in condizioni impari; il timore per la nostra vulnerabilità.
Quest’ultimo è forse l’elemento più nuovo e insidioso. Siamo franchi, come Italia e come Unione europea, già scossi dalla sequenza di crisi (finanziaria, pandemia), non credevamo di dover fronteggiare, contestualmente e concretamente, due rischi poderosi: la repentina penuria di materie base essenziali per l’economia e il ritrovarsi in guerra con nemici potenti. La seconda è una prospettiva estrema, mentre la prima è già realtà.
Sul versante delle materie prime chiave, specie per l’energia e l’agricoltura, i rincari di bollette e alimentari sono visibili e in aumento. Sull’altro, i responsabili dei governi Ue e Nato, a cominciare dal presidente americano, ripetono che non c’è e non si vuole la guerra con la Russia. Con il varo immediato di incisive sanzioni si punta a evitarla, pur garantendo all’Ucraina un sostegno, corroborato da finanziamenti e forniture di armi, oltre alla doverosa accoglienza dei rifugiati.
Tuttavia, guardando alla posizione europea, non possiamo nasconderci due risvolti nodali. Da un lato, per ora, si calibrano le sanzioni per non interrompere le forniture di gas dalla Russia: davvero singolare, perché gli acquisti di fatto finanziano chi si condanna, il quale controlla in ogni caso il rubinetto. Dall’altro lato, è indubbio che la scelta deluda attese e speranze ucraine e assottigli l’esile linea che separa una «non-guerra» dalla vera guerra.
Come sempre nei frangenti ostici la via d’uscita è difficile. Nei vari scenari sul futuro, due valutazioni ricorrono spesso: i tempi, a prescindere da quelli bellici in senso stretto, saranno lunghi e non si tornerà allo status quo. Si è incrinata l’era della globalizzazione, degli scambi via via più liberi su scala planetaria, delle nazioni che fondano relazioni e competizione su regole concordate, del ruolo maieutico di garanzia delle organizzazioni internazionali.
Dobbiamo esserne coscienti e affrontarlo psicologicamente e materialmente, pur nell’imperativo di fare ogni sforzo per trovare una soluzione. Conforta che in questa prova ardua gli Stati Ue siano compatti fra loro e con gli alleati Nato. Non era affatto scontato, le dispute intestine fra europei sono note e anche gli Usa hanno guardato all’Ue in modo altalenante.
Può essere la svolta verso un rapporto migliore: la «coalizione delle democrazie liberali», il cui senso vitale è oggi ben comprensibile. La sfida immediata riguarda la pace. Come ovvio, è necessario che chi guida Stati e organismi multinazionali s’impegni al massimo: le sottovalutazioni sono pericolosissime, bisogna bandire le parole fuori posto e coltivare gli spunti di dialogo.
Ma a quale costo? In primis, spetta agli ucraini rispondere per la loro nazione. E noi, a quali passi siamo pronti e cosa pensiamo di fare se tutto precipitasse? … leggi tutto