Le idee contro (corriere.it)

di Antonio Polito
La guerra della Russia all’Ucraina sta assumendo 
i caratteri di uno «scontro di civiltà»
Nata con giustificazioni geopolitiche (l’espansione della Nato) o etnico-nazionali (la sorte della minoranza russofona), la guerra all’Ucraina sta assumendo i caratteri di uno «scontro di civiltà». Sembra di essere tornati alla profezia del 1996 di Samuel Huntington: in un libro sostenne che la Guerra Fredda sarebbe stata sostituita da nuovi conflitti fondati sulle identità religiose e culturali. Lo scontro tra l’Islam radicale e l’Occidente ne fu una clamorosa conferma. Lo sarà anche quello in corso tra Occidente e Russia?
I protagonisti stessi ne sembrano convinti. Da un lato Stati Uniti ed Europa rimproverano a Mosca di disprezzare l’etica universalistica di libertà e democrazia, e Biden accusa Putin di essere «un dittatore omicida e criminale». Dall’altro l’autocrate russo si appella invece all’ethos della nazione, come nella sua invettiva contro la «quinta colonna» interna che preferisce l’Occidente alla Madre Russia, e presenta una teoria quasi antropologica del patriottismo: c’è gente — ha detto — che tradisce per ostriche, fois gras e «libertà di gender».
Il patriarca Kirill era andato anche oltre: per lui in Ucraina si combatte per non sottomettersi al dominio del peccato, e come esempio della corruzione occidentale ha additato «le sfilate dell’orgoglio gay».
In tutte le epoche i contendenti hanno provato a «sacralizzare» la loro guerra, a presentarla come la lotta della «civiltà contro la barbarie» (i francesi nella Grande Guerra) o a contrapporre «lo spirito da eroe» del tedesco a quello «da commerciante» dell’inglese. Ma più radicale sembra oggi la differenza tra Occidente e Russia. Il primo concepisce infatti la società come un «meccanismo», qualcosa da far funzionare razionalmente e al meglio possibile, per garantire la libertà degli individui di condurre la vita che credono.
Mentre nella retorica del Cremlino si sente l’eco di un’idea della nazione come «organismo vivente», che persegue un’unica finalità radicata nella sua storia. In questa concezione «l’unità spirituale di un popolo è qualcosa che ne permea tutte le manifestazioni, anche le più alte come la religione, l’arte e la filosofia». E dunque anche la vita degli individui. La Russia si sente a tal punto un organismo vivente, e non solo una mera astrazione politica, che «sputerà fuori bastardi e traditori come moscerini finiti nella gola»: parola di Vladimir Putin.
Credo che così si possa capire meglio anche perché da noi c’è chi simpatizza con lui. Frange non piccole delle società occidentali si dichiarano stanche di sentirsi ingranaggi nel «meccanismo» della modernità, per quanto razionale e liberale possa essere, fatta di tecnica, scienza, finanza e democrazia; e hanno invece nostalgia di un mondo fondato sulla comunità, sulla sua unità spirituale e mistica, una nazione fatta di «sangue e suolo».
Si tratta di due filoni di pensiero, l’uno erede dell’Illuminismo l’altro del Romanticismo, entrambi presenti nella cultura europea, di cui del resto la Russia fa parte a pieno titolo. Molti dei comportamenti di Putin si spiegano meglio, senza improbabili letture psicoanalitiche, proprio alla luce di questa concezione della Russia e del suo posto «speciale» nel mondo. L’espansionismo, per esempio. Il despota non è folle: è ciò che la Russia è sempre stata.
Molto tempo prima che nascesse la Nato, «la Russia aveva già un’autocrazia, aveva già la repressione, aveva già il militarismo, diffidava già degli stranieri e degli occidentali», come ha detto lo storico Stephen Kotkin, massimo biografo di Stalin … leggi tutto

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