Eja eja…Ma va là! Intervista a Moni Ovadia (articolo21.org)

 di Donato Ungaro

Sullo sfondo il santuario di San Luca, al 
muro una scritta agghiacciante: «A Fiume 
si gridava Eja Eja Alalà»; a poche centinaia 
di metri un plesso scolastico “secondario” e 
una scuola materna. 

A firmare l’indegna frase, una sigla che a Bologna vuol dire ben altro; ma con a fianco la stilizzazione di un fascio littorio, anche il “ben altro” assume aspetti angoscianti.

Non è il solito simbolo che trasuda ignoranza e ignavia; non è una frase fatta, un luogo comune di cui non si conosce il significato: «A Fiume si gridava Eja Eja Alalà» esprime conoscenza di ciò che si vuole comunicare agli altri.

È lì da qualche giorno, senza che nessuno al Battindarno di Bologna, abbia ancora pensato a cancellarla. Un richiamo alle recenti celebrazioni delle Foibe?

Cosa ne pensa, Moni Ovadia; perché quella scritta colpisce più di altri simboli pur infami che son comparsi in altri luoghi, in altre condizioni? «Colpisce perché rientra in quella narrazione che viene descritta da Francesco Filippi nel suo libro Mussolini ha fatto anche cose buone. Il fascismo si è polarizzando sui propri miti: e Fiume è un mito del fascismo. In questo caso, consideriamo che la città di Fiume oggi è croata; leggere una frase del genere spaventa perché sembra che si voglia riaprire un idiota discorso nazionalistico, con una voglia di scontro inaccettabile oggi in Europa» … leggi tutto

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