L’evento allo stadio Luzhniki con gli spalti gremiti anche grazie a dipendenti pubblici e studenti convocati per fare numero,
riflette una necessità impellente del Cremlino di serrare i ranghi
«Ucraina e Crimea, Bielorussia e Moldavia, sono il mio Paese». L’evento allo stadio Luzhniki è cominciato con questo inno, intonato dal settantenne Oleg Gazmanov, il cantante prediletto di Vladimir Putin. Le speranze occidentali su possibili aperture, alimentate alla vigilia sui canali Telegram dell’informazione ufficiale russa che parlavano dell’arrivo di «importanti dichiarazioni politiche» del presidente, si sono rivelate subito una illusione.
Al tempo stesso, era da tanto tempo che non avveniva un Puting. Il neologismo, che unisce il nome del capo del Cremlino alla parola meeting, è stato creato dai sostenitori di Aleksej Navalny per definire quelle adunate a favore del presidente che riempiono le arene e le piazze anche grazie a dipendenti pubblici e studenti convocati per fare numero. Nel 2017 ce ne furono molti.
Fu l’anno in cui il movimento creato dal dissidente nemico pubblico numero 1 della nazione, che era ancora un uomo libero, ebbe il suo momento più alto, e per un attimo sembrò davvero rappresentare una possibile alternativa.
Anche ieri sono spuntate numerose testimonianze di persone convocate via social con la promessa di 500 rubli e di un pasto caldo, dipendenti pubblici e studenti, tagiki e uzbeki reclutati per fare numero, che raccontavano di essere stati messi su un autobus e portati alla manifestazione senza sapere bene di cosa si trattasse. Sono entrati, hanno timbrato il cartellino.
E in qualche caso, come documentato dai media indipendenti, sono usciti senza assistere alla parata. Come cinque anni fa, quando nelle piazze ancora si poteva manifestare il dissenso. Adesso, la concorrenza non esiste più, non ha più diritto a esistere … leggi tutto