di ANDREA MINUZ
Personaggi e interpreti, reduci e combattenti dello spettacolo messo su dalla tv per raccontare la tragedia dell’Ucraina,
invasa e bombardata dai carri armati di Putin. Il valzer degli esperti e e il teatro del dolore: catalogo delle scempiaggini
Anche sull’orlo dell’apocalisse, dell’allarme nucleare e della Terza guerra mondiale, in una situazione ormai davvero molto “Don’t look up”, la televisione non può smettere di fare la televisione. Ieri servivano No vax e No green pass e filosofi pronti a scagliarsi contro la dittatura sanitaria, oggi si passano al setaccio le ragioni di Putin, l’infingardo accerchiamento della Nato, l’inevitabilità di un’“operazione militare speciale”.
Gli ospiti, però, son sempre quelli.
Pronti a dare il loro contributo alla causa, purché qualcuno li inviti in trasmissione. Così, come in una porta girevole, gli habitué di “Non è l’arena” escono di scena coi monologhi contro i vaccini e rientrano contestando le immagini delle catastrofi di Mariupol, false, messe in scena, allestite: “Glielo dico io che di cinema me ne intendo”, spiega Alberto Contri a Massimo Giletti, “tutto quell’attacco era un set”.
E’ il retroscenista compulsivo e paranoico, personaggio chiave di ogni dibattito televisivo, come il bandito messicano in un film western. Industria della provocazione, gran parata di esibizionismo, gabbia di matti, sempre in bilico tra rutto libero e libertà d’opinione, i talk-show si mettono su con pochi soldi, molta cagnara, ospitate gratis ripagate in “visibilità” e rimborsi spese in buoni-taxi: una tv perfetta, insomma, per l’economia di guerra … leggi tutto