L'attivista: “L'Ucraina è un Paese libero.
È questa libertà che la Russia sta attaccando ed è questa libertà che la Russia vuole distruggere”
“L’Ucraina è un Paese dove puoi scegliere e dove puoi lottare per i tuoi diritti, un Paese libero: noi attivisti Lgbt+ e i traguardi che abbiamo ottenuto negli ultimi anni ne siamo la prova. E’ questa libertà che la Russia sta attaccando ed è questa libertà che la Russia vuole distruggere”. A parlare è Lenny Emson, direttrice esecutiva del Kyiv Pride, la principale organizzazione di tutela e promozione della popolazione gay, lesbica, bisessuale, transessuale, queer e intersex del Paese dell’Europa orientale.
Emson si trova in Ucraina ma per ragioni di sicurezza, dopo l’inizio dell’offensiva militare della Russia il 24 febbraio, preferisce non rivelare il nome della località. Il colloquio parte da una smentita.
“Sono false”, infatti, secondo l’attivista, le denunce su centinaia di cittadine transessuali o nel processo di transizione della riassegnazione del genere che vogliono lasciare il Paese a cui viene impedito di varcare il confine in quanto ritenute di sesso maschile, e quindi tenute a rimanere in Ucraina per effetto dalla legge marziale imposta dopo lo scoppio della guerra.
Le persone transessuali che vogliono vedersi riconosciuta legalmente la riassegnazione del genere in Ucraina “devono seguire una serie di procedure previste all’interno di un protocollo, che implicano sedute con uno psichiatra e poi con un medico endocrinologo, che prescrive un trattamento ormonale”, spiega la direttrice.
“Se queste persone lo stanno facendo o lo hanno già fatto hanno o i certificati che dimostrano che sono sotto osservazione medica o hanno i documenti con il genere modificato e quindi sono libere di lasciare il Paese. Questa nuova legislazione vige in Ucraina dal 2016; sono passati quindi diversi anni e il tempo per adeguarsi c’è stato”.
Emson continua, sollecitata sui eventuali discriminazioni: “Nessuna persona transessuale è finora venuta da noi a dirci che le è stato impedito di lasciare il confine se in possesso di questi documenti”. Al massimo, osserva Emson, un problema è rappresentato dal fatto che “in questa fase è molto difficile avviare o proseguire con il processo di transizione, perché tanti medici hanno lasciato il Paese”.
Il proliferare di denunce di discriminazione invece, secondo l’attivista, rientra “in una logica di disinformazione sostenuta dalla Russia che sta purtroppo facendo breccia, che mira a dipingere l’Ucraina come un Paese omofobico e oppressivo”. La direttrice del Kyiv Pride, organizzazione fondata nel 2016, ribadisce invece che il Paese “grazie ad anni di lotte degli attivisti Lgbt+ ha ottenuto una legislazione piuttosto progressista”.
L’ong ucraina ha anche pubblicato una nota su Facebook a riguardo, nel tentativo di smentire voci circolate sui media europei. Nel comunicato si spiega che l’Ucraina dispone di “un moderno protocollo realizzato nel rispetto della decima revisione dell’International Classification of Diseases (Idc)” dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che richiede quindi ancora una diagnosi di Disturbi dell’identificazione sessuale e l’approvazione di un medico psichiatra ma che non contempla il ricovero presso istituti per la salute mentale.
A gennaio è entrato in vigore anche l’undicesima revisione dell’Idc, che smette di considerare la transessualità una patologia e passa invece a ritenerla una “condizione di salute”. Gli attivisti del Kyiv Pride sottolineano che “una volta terminato il conflitto” continueranno con la mobilitazione per l’adozione di questo nuovo documento.
La guerra, conferma Emson, ha “dirottato tutte le nostre attività al sostegno diretto delle persone colpite dalle ostilità: raccogliamo e inviamo cibo, beni di prima necessità e soldi e abbiamo organizzato rifugi per le persone Lgbt+ che hanno dovuto lasciare le loro case”.
Al momento, denuncia la direttrice, “alcune città del Paese sono completamente distrutte, come Mariupol, Chernikiv, Irpin o Bucha, e non è possibile fare nulla”. Le attività del Kyiv Pride quindi “sono concentrate a Kiev, Odessa e nell’ovest del Paese”.
Sostegno umanitario, ma non solo. “Sono molti gli attivisti Lgbt+, anche transessuali, che hanno imbracciato le armi e che hanno deciso di difendere l’Ucraina in prima persona”, riporta l’attivista. “Noi, che a nostra volta abbiamo deciso di non andare via, li sosteniamo attivamente e siamo fieri di quello che stanno facendo”.