di Gianluca Falanga
Sono immagini insopportabili, come quelle delle città ucraine assediate e devastate che ci affliggono da ormai oltre un mese.
Fa molto male vedere le sedi di Memorial a Mosca oltraggiate dalle perquisizioni delle forze speciali della Guardia nazionale, gli agenti col volto coperto da passamontagna che portano via materiali sequestrati sotto gli occhi di attivisti provati, trattenuti in ostaggio per ore, costretti ad assistere impotenti allo sfregio dei loro uffici.
Fa male perché sappiamo che non si tratta dell’ennesimo atto di intimidazione contro l’organizzazione custode della memoria delle vittime del totalitarismo sovietico, la più longeva e autorevole ONG russa per la difesa dei diritti umani. Questa volta è diverso.
Ce lo dicono quelle Z lasciate sui muri, imbrattate a sfregio sulle pareti delle stanze e su una lavagna a fogli, è la Z che contrassegna i carri armati che hanno invaso l’Ucraina, la stessa esibita, nuovo simbolo di sopraffazione, dalla folla osannante dei sostenitori di Putin all’inquietante adunata oceanica dello stadio Lužniki.
Ho provato a immaginare le stanze del nostro museo della Stasi a Berlino perquisite alla stessa maniera, la polizia che irrompe negli uffici dell’associazione che l’ha istituito e lo gestisce dal 1990, associazione fondata da attivisti dell’opposizione ed ex detenuti politici della Germania orientale, dunque con le stesse radici e idealità di Memorial, gli agenti che rovistano con sprezzo negli scaffali alla presenza dei colleghi increduli, che sequestrano computer e faldoni con la documentazione archiviata del lavoro degli ultimi trent’anni.
Mi ha preso un senso di nausea e di angoscia e mi sono ricordato di quando, dodici anni fa, cominciai a collaborare col museo e presso le prigioni della Stasi a Berlino-Hohenschönhausen, mi dissero: l’elaborazione del passato comunista in Germania può guardare a due esperienze, una è quella del decennale percorso di elaborazione della traumatica eredità del nazismo, l’altra è Memorial.
Ho pensato: la liquidazione di Memorial International ordinata dalla Corte suprema russa è un atto di guerra. Di una guerra che Putin ha deliberatamente scatenato, stroncando immaginari di un’epoca che s’illudeva di averla bandita, la guerra in Europa, dopo il sangue della Jugoslavia, riportandola invece in tutta la sua ferocia in quelle “terre di sangue”, come le ribattezzò Timothy Snyder, dove un secolo fa si accanirono e intrecciarono le sanguinarie politiche di Hitler e Stalin, precisamente in un territorio che fu teatro di efferati eccidi e pogrom durante la guerra civile russa e sul quale poi, nell’arco di poco più di un decennio fra il 1932 e il 1943, si abbatterono prima la sciagura dell’Holodomor, quindi l’occupazione nazista e gli indicibili massacri della Shoah.
Stiamo assistendo a una tragedia che resuscita i cattivi spiriti e rievoca i peggiori drammi del secolo passato, ne squarcia le ferite, ne risveglia i traumi sepolti. E proprio la storia, quella del Novecento e dell’ultima guerra mondiale, la più delicata e sensibile nella pluralità di memorie dei popoli europei, è lo spazio che Putin ha brutalmente invaso, prima di muovere le sue armate.
Chi conosce la vicenda di Memorial, chi ha consapevolezza del suo antagonismo rispetto a un regime autocratico che ha preso in ostaggio la storia e la memoria del suo popolo, che negli ultimi anni ha sempre più drasticamente zittito tutte le voci che disturbano l’univocità della grande narrazione patriottica della storia russa funzionale al consolidamento del potere, non può meravigliarsi del fatto che Putin abbia lanciato una guerra caratterizzata dall’intossicazione della memoria pubblica, dalla profanazione del significato delle parole e dei concetti politici (“denazificare” gli ucraini) e dalla più spudorata e irresponsabile strumentalizzazione della storia.
L’attacco all’Ucraina è la continuazione della storia con altri mezzi, ha ben rilevato il ministro degli Esteri francese Le Drien nel suo vibrante discorso in difesa di Memorial dello scorso 10 marzo, è «manifestazione di un duplice revisionismo a mano armata», storico e geopolitico, che vuole riscrivere il passato negando, tramite il ricorso alla distorsione della verità storica e all’aggressione militare, l’integrità territoriale e il diritto stesso all’esistenza degli ucraini come soggetto, non oggetto della propria storia: l’Ucraina è un incidente, da correggere con la guerra … leggi tutto
(“Basta Memorial!” La Z lasciata dalle forze speciali OMON della Guardia nazionale durante la perquisizione della sede di Memorial International a Mosca lo scorso 4 marzo 2022 (Fonte: Alexandra Polivanova)