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Il paese dello stato d’emergenza permanente (internazionale.it)

di Al JazeeraQatar (Traduzione di Andrea Sparacino)

Il 26 marzo El Salvador ha registrato 62 omicidi, 
il numero più alto di morti in un giorno dalla 
fine della sanguinosa guerra civile, nel 1992. 

La causa dell’ondata di omicidi è stata attribuita al conflitto tra le due gang in lotta tra loro, la Mara Salvatrucha (MS-13) e il Barrio 18.

A fine giornata il presidente Nayib Bukele ha scritto un post su Twitter – la sua piattaforma preferita per le comunicazioni ufficiali – in cui invitava i parlamentari salvadoregni ad approvare lo “stato d’emergenza”. I deputati hanno eseguito diligentemente la richiesta all’alba del 27 marzo.

Programmato per trenta giorni con la possibilità di un prolungamento, lo stato d’emergenza comporta la sospensione formale di ogni residuo di libertà civile in un paese dove il presidente si definisce il “dittatore più cool” del mondo e sfoggia un cappellino da baseball con la visiera all’indietro. Il nuovo status elimina il diritto all’associazione e alla difesa legale, portando il periodo di detenzione consentita da 72 ore a 15 giorni e autorizzando il governo a leggere la corrispondenza privata senza bisogno dell’autorizzazione di un tribunale. D’altronde già da tempo le autorità fanno attività di spionaggio senza chiedere il permesso a un tribunale.

In un preoccupante vortice di eventi, il 5 aprile il parlamento del Salvador ha approvato una legge per “punire chiunque condivida informazioni sulle gang con una pena che può comportare fino a 15 anni di carcere”, ha scritto il New York Times. Secondo gli oppositori, la nuova legge è “talmente vaga che chiunque potrebbe essere arrestato con l’accusa di aver scritto o parlato delle gang. In questo modo i giornalisti si ritrovano nel mirino”.

Crociata presidenziale

Bukele ha presentato l’ultimo giro di vite contro i diritti come una componente necessaria e nobile della sua #GuerraContraPandillas, la battaglia contro le bande che funge regolarmente da diversivo per distogliere l’attenzione dalle altre crisi del paese, a cominciare proprio dall’erosione dei diritti.

Nella sua crociata su Twitter, Bukele ha attaccato le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani che hanno osato criticare il comportamento delle autorità salvadoregne e ha insinuato che “la comunità internazionale” sia complice di “terrorismo” perché ha espresso la propria preoccupazione rispetto al trattamento riservato agli individui sospettati di far parte delle bande criminali.

Il 31 marzo Bukele ha scritto ancora su Twitter, spiegando che il 27 marzo le razioni di cibo nelle prigioni del paese erano state ridotte e che sedicimila detenuti “non avevano lasciato le loro cella né visto la luce del sole”. Ha aggiunto che altri tremila presunti criminali erano stati arrestati. “Non ci fermeremo”, ha detto. “Lo spazio nelle carceri sarà sempre minore e dovremo razionare ulteriormente il cibo”. Non esattamente un comportamento “cool”.

Tra l’altro l’amministrazione Bukele ha collaborato più volte con i “terroristi”, come hanno confermato le inchieste del giornale salvadoregno El Faro e il dipartimento del tesoro degli Stati Uniti. Il New York Times sottolinea che secondo il tesoro statunitense il governo salvadoregno avrebbe “garantito alle bande incentivi finanziari e un trattamento preferenziale per i capi in prigione, a cominciare dall’accesso a telefoni cellulari e prostitute”.

In cambio le autorità avrebbero ottenuto dai criminali l’impegno a ridurre il numero di omicidi e a favore i candidati del partito di Bukele, Nuevas Ideas. Come se le macchinazioni megalomani di destra fossero davvero una “nuova idea”, nel Salvador come in qualsiasi altro paese.

Evidentemente un’accusa di questa portata da parte degli Stati Uniti non è una questione da poco, anche perché arriva dalla superpotenza che nei dodici anni della guerra civile salvadoregna ha costantemente appoggiato i massacri compiuti dalle forze di destra.

Durante la guerra 75mila persone sono state uccise e un numero imprecisato di salvadoregni è fuggito a Los Angeles, in California, in un ambiente ostile che ha favorito la nascita delle gang salvadoregne … leggi tutto

(Nayib Bukele)

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