Le prove di Bucha
Finora nessuno ha impedito ai parolai dei talk show di propugnare strampalate teorie senza avere contraddittorio. Ma ora che ci sono evidenze degli orrori commessi dai soldati russi in Ucraina, i filo Cremlino non possono più nascondersi dietro facili speculazioni
Ammettiamo pure – ma ci sarebbe margine per discuterne – che sia parimenti dignitoso qualsiasi giudizio sulla pace e su come si debba ottenere, sulla guerra e su chi ne sia responsabile, sulla Russia e su Volodymyr Zelensky, sulla Nato e su Joe Biden, sulla Unione europea e sui doveri costituzionali dell’Italia.
Ci sarebbe da discuterne perché un conto è che sia legittimo esprimersi in un senso o nell’altro (e su questo non ci piove), ma un altro conto è accreditare il principio per cui un giudizio vale l’altro, senza che chi osserva abbia il diritto – ma direi il dovere – di sbertucciare quello che platealmente si fonda sulla contraffazione, sulla menzogna, sulla censura del fatto vero e sullo spaccio di quello falso.
Detto questo (ma va detto, altrimenti la piattaforma del discorso resta sbilenca) qualsiasi giudizio ci si faccia sulle origini, sulla storia e sulle responsabilità della guerra all’Ucraina conserva un residuo di dignità a una condizione: e cioè che non ci si nasconda e non si neghi l’esistenza del corteo di fatti cui abbiamo assistito, e che non poco ha influito nell’orientare in malo modo il dibattito pubblico.
Vuoi dire che la guerra l’ha fatta Biden per venderci il suo gas? Bene, padronissimo. Vuoi dire che c’è dietro la finanza usuraia? Nessun problema, accomodati. Vuoi dire che i Protocolli dei Savi di Kiev sono i punti di riferimento fortissimo di tutte le storiografie democratiche e anti-imperialiste? Per carità, non te lo impedisce nessuno. Però nel propugnare queste raffinate teorie, please, i fatti non li nascondi. E, quando ne sei responsabile, ne rispondi.
E i fatti sono che, dall’esordio delle “operazioni speciali”, non nei bar di periferia ma dai palchi dell’informazione coi fiocchi, pensosa, democratica, perbene, ci si premurava di avvisare che i russi dopotutto procedevano con cautela, “per non spaventare la gente”. Se un ospedale era bombardato, sempre da lì si spiegava che bisognava vederci chiaro, perché magari l’avevano colpito per sbaglio, e poi i russi (bisogna far sentire tutte le voci, giusto?) dicono che era un covo di nazisti.
Se arrivava la notizia di uno stupro di massa, ci si affrettava a buttar lì che d’accordo, può anche darsi, ma insomma c’è propaganda da tutte le parti e quindi vai a sapere.
Se circolavano le fotografie di una donna incinta tra le macerie, partiva la girandola dei post social che la ritraevano qualche mese prima in posa da modella, pagata allora per pubblicizzare rossetti e ora per pitturarsi la faccia di rosso a simulazione di ferite in realtà farlocche.
Se arrivavano le immagini di uno slalom di blindati tra una fila di cadaveri con un colpo alla nuca e le mani legate dietro alla schiena, i reporter di guerra embedded in talk show si mobilitavano per denunciare che a Bucha c’era qualcosa che non filava per il verso giusto, perché un cadavere non sta in quelle condizioni dopo tanti giorni, perché non c’erano bossoli, perché chi l’ha detto che li hanno ammazzati i russi, e se poi un satellite conferma tutto bisogna andarci piano lo stesso, perché la Spectre fa questo e altro … leggi tutto