«Il reddito di cittadinanza è una riforma complessa, perché è fondata su un patto di lavoro, un patto di formazione e un meccanismo di inclusione sociale».
Era il 4 febbraio 2019 quando l’allora premier Giuseppe Conte usava queste parole per presentare la misura bandiera del Movimento 5 Stelle. I beneficiari lo avrebbero dovuto percepire per 18 mesi, durante i quali sarebbero stati aiutati a trovare lavoro. Se non ce l’avessero fatta, avrebbero potuto ottenere un rinnovo di ulteriori 18 mesi.
Tre anni in tutto, un tempo sufficiente per uscire da una situazione di difficoltà grazie all’aiuto dello Stato. Nessuno prendeva in considerazione l’ipotesi che il Rdc sarebbe diventato una misura strutturale senza fine. Invece, è andata proprio così. Secondo l’ultimo report dell’Inps di febbraio scorso, il 70% dei nuclei familiari «esordienti» nel corso del 2019 era ancora beneficiari a fine 2021. E proprio in questi giorni l’Istituto nazionale di previdenza sta ricevendo le domande per un secondo rinnovo di altri 18 mesi.
La misura, presentata come «temporanea», e a sostegno delle persone in difficoltà economica, diventa così prorogabile all’infinito.
La legge non fissa un limite temporale. Unica condizione è essere ancora in possesso dei requisiti economici e di non percepire l’assegno per un mese. Chi ha usufruito del primo rinnovo, infatti, è stato «in pausa» a ottobre 2020, avendo iniziato a percepire l’assegno ad aprile 2019. Ora, a maggio, sta invece affrontando il secondo stop di 30 giorni.
E a giugno inizierà a percepire il sussidio per altri 18 mesi, fino a novembre 2023. È prevedibile, quindi, che il prossimo report dell’Inps registri un’impennata di nuove domande, che in realtà sono richieste di rinnovo, come è accaduto nel quarto trimestre del 2020, quando furono addirittura 784mila. Un numero altissimo se si considera che la media trimestrale di nuove richieste si aggira sulle 200mila.
Fonti del ministero del Lavoro fanno notare che la «persistenza» nel tempo di beneficiari del reddito di cittadinanza non deve stupire, perché «è altissima la percentuale di coloro che hanno abbandonato precocemente gli studi (6% senza titolo, 14% licenza elementare, 51% licenza media)».
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