di Francesco Panié* (con la collaborazione di Maria Panariello*)
L’ultima proposta è arrivata qualche giorno fa dal governo lituano:
costruire una coalizione di “volenterosi” per ottenere una revoca del blocco navale imposto dalla Russia all’Ucraina, che in questo momento impedisce le esportazioni di grano dal paese est-europeo. La rotta del Mar Nero è infatti un’arteria cruciale per il flusso di commodities agricole – e del grano tenero in particolare – verso il continente africano.
Diversi paesi nell’area dipendono dalle due nazioni in guerra per quote significative del loro import. Il Khubz, conosciuto anche come pane siriano, pita o pane libanese, è infatti uno degli alimenti base nella dieta in Medio Oriente e Nord Africa, ma gran parte della materia prima per produrlo arriva via nave da Russia e Ucraina. L’intero continente africano ha visto crescere drammaticamente il suo import di grano negli ultimi quarant’anni, minando lo sviluppo di sistemi alimentari locali.
La situazione è quindi potenzialmente esplosiva, con i due paesi in conflitto che hanno in mano il 31% dell’export globale di grano tenero e alcuni tra i principali partner in Libano, Egitto, Tunisia, senza contare alcuni Stati dell’Africa sub-sahariana, che dipendono da Russia e Ucraina per quote di fornitura tra il 50 e il 100%.
In molti di questi territori le persone spendono mediamente – nonostante i sussidi – fra il 35 e il 55% del loro reddito in cibo: il timore generalizzato è che l’aumento dei prezzi, acuito dalla scarsità dell’offerta causato dal conflitto possa innescare rapidamente una nuova bomba sociale.
Per questo, le domande che tutti si pongono al momento sono: come far uscire il grano bloccato nei depositi ucraini? Come ripristinare le rotte del commercio mondiale dopo il rallentamento dovuto alla pandemia e l’interruzione causata dalla guerra? Come evitare una crisi alimentare in aree del pianeta che sono state teatro di rivolte non più di una decina di anni fa, proprio a seguito di un’impennata dei prezzi del pane dopo la crisi del 2008?
Il cibo è diventato quindi un elemento strategico in questa fase del conflitto: un capitolo consistente della partita geopolitica in corso dipende proprio da come si assesteranno gli equilibri legati al commercio delle materie prime alimentari.
La soluzione intorno a cui si stanno concentrando gli sforzi è quella avanzata dal ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis: una scorta navale non gestita dalla Nato, ma dai singoli paesi interessati per “una missione umanitaria non militare e non paragonabile a una no-fly zone”. La cosiddetta coalizione farebbe da “cordone sanitario” per le navi cargo ucraine cariche di grano che al momento si sta ammassando nei centri di stoccaggio, garantendo l’attraversamento del Mar Nero e oltre le linee della flotta russa.
La soluzione lituano-canadese è sostenuta dal governo britannico e poi dall’UE: due giorni fa, nella conferenza stampa al termine del Consiglio europeo, il presidente del vertice Charles Michel l’ha definita “l’opzione migliore”, mentre si tentano anche altre alternative. La Russia ha fatto sapere, tuttavia, che la condizione per un accordo sullo sblocco dei porti è il ritiro di alcune sanzioni (richiesta ribadita in una telefonata avvenuta nel fine settimana con i leader francese e tedesco).
Una missione del genere, in ogni caso, dovrebbe svolgersi sotto l’egida delle Nazioni Unite per essere effettivamente legale ai sensi del diritto internazionale. Ed è in questa direzione che l’UE ha intenzione di lavorare con più energie dopo il vertice conclusosi due giorni fa. Nei prossimi giorni, infatti, Charles Michel incontrerà il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres … leggi tutto