di Fabio Chiusi
Il volto della resistenza ucraina all’aggressione russa è, lo sappiamo, il presidente Volodymyr Zelensky.
È lui, si è letto in svariate analisi nei primi mesi dell’invasione, il motivo per cui il piano di Vladimir Putin di conquistare Kyiv e l’Ucraina tutta in un blitz è fallito.
Lui con le sue testimonianze e dirette sui social media, il suo sapiente uso delle dinamiche comunicative online, il suo talento di attore consumato — utile ora per infondere forza e speranza nel suo popolo, martoriato dalle bombe e dai crimini russi. Lui il leader che, affiancato dalla first lady “influencer della resistenza”, ha saputo mutarsi in “eroe social”, passare da comico che veste i panni di presidente in una commedia tv a un “Churchill con l’iPhone” (parola di Jonathan Freedland sul Guardian).
Zelensky: l’uomo capace di contrastare, una buona volta efficacemente, la propaganda digitale del Cremlino, e così “vincere la information war” che, fino al 24 febbraio, sembrava dominio esclusivo o quasi di hacker, troll, bot e propagandisti di Putin.
Ma se Zelensky è il volto della resistenza, digitale e non, dell’Ucraina aggredita, il cervello — e la macchina — che la pensa e rende possibile è il suo ministro (e vice primo ministro), Mykhailo Fedorov. Comprendere come questo 31enne con un passato da digital marketer e militanza libertaria stia conciliando il suo ruolo di ministro per la Trasformazione digitale, creatogli su misura proprio da Zelensky ad agosto 2019, con quello di stratega al fronte della “Prima Cyber Guerra Mondiale” — così Fedorov chiama il conflitto in corso — è fondamentale.
E non solo per meglio intendere le dinamiche e i possibili sviluppi della guerra di Putin all’Ucraina, quantomeno nel suo fondamentale lato mediatico-informativo.
Nelle idee del ministro-innovatore, infatti, c’è una vera e propria concezione dello Stato come “nazione digitale” che include proposte radicali per il futuro dell’amministrazione pubblica e della democrazia stessa. Soprattutto, c’è una ideale e insieme concreta linea di continuità tra le funzioni e gli strumenti della “nazione digitale” in pace e in guerra che aiuta a inquadrare le tante azioni di resistenza digitale dell’Ucraina all’interno di una logica più ampia, che parla anche dell’assetto del paese — e del mondo — dopo il conflitto.
In Fedorov, e lo vedremo nel dettaglio, ciò si traduce in un inedito miscuglio di soluzionismo tecnologico (l’idea che ogni problema sociale sia riducibile a problema tecnologico, da risolversi dunque per via tecnologica), tecno-entusiasmo e pragmatismo gravido di lezioni per chiunque intenda pensare il rapporto tra tecnologia e politica nel suo darsi concreto, al netto di retoriche che ragionano per pregiudizi, petizioni di principio e — troppo spesso — panici morali.
Un impasto affascinante e insieme terribile, che ci consente di gettare uno sguardo su di un futuro in cui distinguere tra guerra e pace, militare e civile, e usi militari e civili delle nuove tecnologie è sempre più complesso.
Perché se Fedorov è stato chiamato al governo del suo paese, in un momento così grave della sua storia, per “mettere l’Ucraina nello smartphone”, digitalizzando — e in futuro automatizzando — il 100% dei servizi della pubblica amministrazione, ora l’invasione lo ha mutato, secondo l’efficace definizione di Wired, in una “formidabile macchina da guerra”.
Questo comunica, al fondo, il progetto di Fedorov per l’Ucraina: che una nazione digitale è anche una nazione capace di difendersi da qualunque invasore. Dalla Russia di Putin, in particolare, che rappresenta secondo Fedorov un modello superato, novecentesco, di gestione del potere: perché, giura il ministro ucraino, “i governi devono tendere a diventare sempre più simili a compagnie tecnologiche, invece di essere rigidi come carri armati” … leggi tutto