La mafia e il passato che pesa (corriere.it)

di Paolo Mieli
Il voto a Palermo: 
grava la mancata elaborazione da parte degli ex democristiani della lunga stagione di intensi rapporti tra una parte potentissima della Dc e la malavita organizzata
La festicciola per l’elezione a sindaco di Palermo, l’ex rettore d’università Roberto Lagalla ha deciso di farla in un famoso hotel a cinque stelle del quartiere Brancaccio, il San Paolo Palace, sequestrato una trentina d’anni fa a Giovanni Ienna, prestanome di uno dei fratelli Graviano. Oggi quell’albergo è (ben) gestito dall’Agenzia dei beni confiscati alla mafia. Niente da rimproverare perciò al primo cittadino palermitano in merito al luogo scelto per l’autocelebrazione.
Né — anche se questo è ben più grave — gli si può imputare di aver avuto tra i compagni di strada qualche arrestato dell’ultima ora e qualche «impresentabile» («neanche li conoscevo», si è difeso). Anche se quel titolo, «Die Mafia lebt» (la mafia è viva) che campeggia sulla prima pagina della Süddeutsche Zeitung, suona come un avvertimento che viene da oltre confine: ci risiamo, l’esperienza amministrativa di Lagalla verrà giudicata, giorno per giorno, anche (e, forse, soprattutto) alla luce delle possibili commistioni tra la nuova giunta e Cosa nostra.

Sulla sua persona, ad oggi del tutto immacolata, grava però la mancata elaborazione da parte degli ex democristiani della lunga stagione di intensi rapporti tra una parte potentissima della Dc e la malavita organizzata. In che senso? Complice la scandalosa sentenza double face per Giulio Andreotti. Che ha consentito ad alcuni di considerare l’ex presidente del Consiglio come una vittima di Cosa nostra, ad altri alla stregua di un conclamato mafioso.

Anche per via di questa sentenza, gli ex o postdemocristiani hanno pensato di cavarsela gettando su Vito Ciancimino tutte le colpe di quella stagione. Sicché, con i loro eredi, si sono ripresentati sulla scena politica, perfino con formazioni intestate a quello che fu in tutta Italia il partito di maggioranza relativa. Neanche una condanna definitiva — come è accaduto nel caso di Totò Cuffaro — li ha dissuasi dall’impresa. Come se non avessero percepito il significato autentico e profondo del successo proprio a Palermo o sulla scena nazionale di Leoluca Orlando e Sergio Mattarella.

Con questo non vogliamo dire che in Sicilia solo Orlando e Mattarella siano ex democristiani degni di rappresentare la parte buona di quello che fu il loro partito. Né dimenticare i nomi degli esponenti Dc che furono vittime di mafia.

E neanche quelli di uomini come Calogero Mannino che subirono anni e anni di processi prima di essere assolti con sentenze definitive … leggi tutto

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