di Mario Lavia
La Balena gialla
Il Consiglio nazionale del M5S si è sgonfiato. Troppo complicato cacciare il ministro degli Esteri, troppo pericoloso giocare con le armi a Kiev. Tutti a casa. Ma il giocattolo grillino si è rotto per sempre
È l’8 settembre del Movimento, tutti a casa, il formicaio che definitivamente impazzisce all’ombra della maxi-rissa tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. E, anche se al conclave di ieri sera non è successo nulla di serio (nessuna espulsione, nessuna rottura con Mario Draghi sull’Ucraina), c’è da dire che da qualche ora i M5s sono almeno due – contiano e dimaiano – più un pulviscolo di posizioni individuali, tutte accomunate dal terrore di quelli che quelle posizioni mantengono di essere finiti nel labirinto che conduce all’inferno della politica: la sconfitta, l’irrilevanza, infine l’estinzione.
L’improvviso Consiglio nazionale del M5s, organo mai riunitosi prima, più che essere un 25 luglio – in fondo non è stato deposto il Capo e nemmeno cacciato l’antagonista Di Maio – ha decretato l’addio ai giorni felici dell’Italia ai piedi del grillismo. Doveva essere il giorno del diluvio, non hanno combinato niente. Troppo complicato cacciare il ministro degli Esteri, troppo pericoloso giocare con le armi a Kiev. Tutti a casa.
Ora importa relativamente il futuro del ministro degli Esteri, vittima di quello stalinismo alle vongole da egli co-fondato, che comunque resta dov’è, e ancor meno quello di Giuseppe Conte, un uomo senza qualità che ancora una volta ha sparato ad acqua, sull’Ucraina il governo non rischia perché Giuseppi sa bene che i parlamentari grillini vogliono far passare (domani in Senato, il giorno dopo alla Camera) una mozione di maggioranza sufficientemente di mediazione per essere votata da tutti.
Oggi si stenderà il testo della mozione che ricalcherà le comunicazioni di Mario Draghi senza andare a sbattere sul tema delle armi, in questi casi i professionisti della politica sanno come si scrivono questi documenti. E tuttavia il senso di queste ore è chiaro: adesso non c’è solo un Movimento ma due, tre, quattro, nessuno, vattelappesca. Il giocattolo si è rotto per sempre.
Ma vi ricordate? «Siamo indistruttibili!», urlò Beppe Grillo quel lontanissimo 4 ottobre 2009 al teatro Smeraldo di Milano. Si sbagliava. Sono passati tanti anni ma oggi il suo Movimento Cinque stelle è distrutto: un balenottero spiaggiato.
Ne hanno combinate di tutti i colori, hanno rinverdito la tradizione del populismo e del qualunquismo italiano, hanno abbaiato alla luna di una immaginaria nuova politica, hanno illuso grandi masse, si sono alleati con gli xenofobi e con i progressisti, hanno occupato pezzi di Stato e cambiato il lessico politico intrecciandolo con la celebrazione dei clic, sono rimasti sostanzialmente degli ignoranti della sintassi democratica: e oggi eccoli lì nel loro ultimo rantolo finale, il che è un’ottima notizia per la qualità della politica sebbene gli ultimi sbuffi della balena potrebbero essere imprevedibili.
Alla lunga, però, la Moby Dick grillina è destinata a una fine ingloriosa, senza più voti, in preda a una guerra civile interna, un incubo che svanisce dopo l’ubriacatura dell’antipolitica lasciando sullo sfondo la figura di un uomo dalle idee vaghe, quell’avvocato del popolo che ha dilapidato qualsiasi cosa sull’altare del potere, un personaggio in sé effimero e conformista come il Marcello Clerici di Moravia.
Conte è ormai un ex leader che solo la rozzezza intellettuale di qualche dirigente romano del Partito democratico ha tenuto in vita, elevandolo a punto di riferimento dei progressisti, quando lui, l’avvocato, non sa neppure cosa voglia dire progressismo altrimenti non avrebbe firmato i decreti Salvini che avrebbero potuto portare a morte decine di immigrati.
Ieri sera l’azzeccagarbugli della provincia di Foggia ha capito che rompere sull’Ucraina avrebbe sgonfiato l’unico salvagente che ha, cioè l’alleanza con il Pd che malgrado tutto potrebbe garantirgli un seggio parlamentare, e però non rompere equivale a dare ragione a Di Maio, ormai punto di riferimento fortissimo dei grillini con un po’ di sale in zucca in procinto forse di fare un M5s 2.0 di governo – e comunque in ogni caso lui resta ministro degli Esteri.
Dunque è l’ora di un de profundis che non si nega nemmeno ai ribaldi, e dunque neppure al partito dei Toninelli e delle Taverna, dei Giarrusso (Michele o Dino fa lo stesso), del vecchio Di Battista che, chissà, forse raccoglierà il testimone del peronismo-guevarismo del “primo” Movimento imbevuto nella vodka di Vladimir Putin e Sergej Lavrov … leggi tutto
(eleonora)