In questi giorni ci è stato servito il più classico dei piatti della Prima Repubblica,
La foto di Mario Draghi solo su un divanetto del Museo del Prado, attaccato al telefono con Roma e costretto a tornare in anticipo, mentre il resto dei leader dell’Occidente s’accalca festoso davanti ai quadri, è stata letta come un déjà-vu della politica italiana. Sembrava simboleggiare una nostra debolezza congenita, governi sempre esposti all’ultimo refolo di vento, che vacillano per beghe casalinghe mentre davanti a loro passa la storia. Come è passata a Madrid, dove è nata una nuova Nato, con nuovi alleati e nuovi nemici.
Il premier ha smentito ieri questa lettura, dando un’interpretazione più casuale del suo momento-divano. E certamente un governo di grande coalizione dovrebbe servire proprio a questo: a metterci al riparo dalle peggiori abitudini della politica italiana.
Invece in questi giorni ci è stato servito il più classico dei piatti della Prima Repubblica, la pre-crisi di governo. Attenzione: non una vera e propria crisi. Ma quello stato di fibrillazione, sospetto e congiura perenne che debilita i governi e danneggia il Paese.
Ad aprire la pre-crisi sono state — manco a dirlo — le due forze uscite sconfitte dalle ultime amministrative e più in difficolta nei sondaggi: il M5S, o ciò che ne resta, e la Lega di Salvini.
Il gioco è così scoperto davanti agli occhi dell’opinione pubblica da chiedersi come vi si possa indulgere ancora una volta. Quando non riescono a guidare con successo i loro partiti, i leader di solito innestano il pilota automatico e minacciano di uscire dal governo. E siccome ciò che conta è fare la faccia feroce, i motivi possono essere anche molto futili, come in questo caso. Conte ha fatto fuoco e fiamme per i contenuti di telefonate e di scambi via Sms tra Grillo e Draghi, in cui il presidente del Consiglio avrebbe parlato male di lui.
Quanto imprudentemente non è chiaro, anche se dobbiamo presumere che le critiche non possano aver assunto le caratteristiche di un tentato «golpe» per far fuori il leader del Movimento Cinquestelle; altrimenti il fondatore di quello stesso Movimento, che era all’altro capo del filo, non avrebbe esitato a fermare, respingere o addirittura denunciare il malfatto.
Matteo Salvini, invece, da tempo in cerca di un elisir che gli faccia recuperare la forma smagliante di un tempo, minaccia ritorsioni per un paio di proposte di legge del Pd (non del governo, ma presentate approfittando della lasca regìa del governo sull’agenda parlamentare della maggioranza).
Si tratta di misure di liberalizzazione della cittadinanza e della cannabis destinate a quasi certo insuccesso parlamentare; ma sufficienti a fornire un casus belli al leader padano che sta perdendo la Padania pezzo a pezzo, e qualcosa deve pur fare.
Ci perdonino i protagonisti di questa epica battaglia: ma è difficile non scorgere dietro tanta agitazione politica la dimensione molto più piccola di problemi di potere interni ai partiti … leggi tutto