di Roberto Gressi
Ieri il premier è stato ancora più esplicito che in precedenza:
non si va avanti se si continuano a minacciare sfracelli o si moltiplicano gli ultimatum
Non è ancora chiaro come si uscirà dall’imbuto nel quale Giuseppe Conte, ma non solo lui, ha infilato i destini dell’Italia e quel che ancora resta del suo Movimento. Dice di attendere segnali da Mario Draghi ma non sa come uscire dalla prova di domani, quando dovrà decidere se votare la fiducia sul decreto Aiuti, oppure negarla, magari scegliendo l’Aventino.
La voglia di strappare pare ancora prepotente. Conte perderà altri pezzi, in una direzione o nell’altra, con i Cinque Stelle già decimati dalla scissione di Luigi Di Maio. Ma non è questo il dilemma che preoccupa gli italiani, alle prese con la crisi energetica e l’esplosione dei prezzi, con la guerra alle porte dell’Europa, con il Covid mai domato e in attesa che il Pnrr dia alle famiglie e alle imprese una boccata d’ossigeno.
Il presidente del Consiglio ieri ha fatto un primo passo. Ha incontrato i sindacati e si è mostrato aperto alle loro richieste di intervenire in soccorso della parte del Paese che è più in difficoltà.
Lo ha fatto annunciando un nuovo provvedimento per la fine di luglio e promettendo che, prima del varo, convocherà di nuovo i tre leader sindacali. Al centro la difesa delle pensioni e degli stipendi, anche prevedendo salari minimi nelle contrattazioni collettive e interventi sul cuneo fiscale.
Solo a una lettura superficiale può sembrare un modo per prendere tempo. In realtà se ne ricava un’indicazione chiara: il governo conta di essere tra due settimane ancora nel pieno possesso dei suoi poteri, il progetto per mettere in sicurezza l’Italia va avanti.
È anche il frutto del lungo colloquio che Mario Draghi e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno avuto lunedì sera: un asse della responsabilità a dispetto delle mille fibrillazioni che agitano la politica, che sembra avere la testa rivolta esclusivamente verso le prossime elezioni.
È proprio in questa direzione che non ci sono solamente i contorcimenti di Conte. C’è il ministro degli Esteri, Di Maio, che intima all’ex amico di dire se è dentro o fuori dalla maggioranza. C’è Matteo Renzi, che invita a buttarlo fuori e a fare senza. C’è il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che rilancia chiedendo la verifica.
Matteo Salvini lo sostiene, o forse lo ispira, ma non è del tutto chiaro se anche lui non stia attendendo il momento propizio per sfilarsi. C’è il Pd che mantiene saldo il sostegno all’esecutivo ma non ha la forza di far capire ai presunti alleati (o ex alleati) dei Cinque Stelle che così si manda a rotoli il Paese. C’è Giorgia Meloni che fa il suo mestiere di opposizione, e ovviamente non rinuncia a sfruttare la scia favorevole.
Fino al candore del ministro delle Politiche agricole, il grillino Stefano Patuanelli, che ben attento a non dire cosa deve fare il suo Movimento, tranquillizza la popolazione comunicando che sarà ministro ancora stasera, e anche domani.
Si ricava alla fine l’impressione che più d’uno o forse tutti pensino che sotto l’ombrello di Mario Draghi non possa succederci nulla di male, e quindi tanto vale iscriversi al gioco del «più uno», nell’idea o piuttosto nell’illusione che possa portare vantaggi elettorali.
E quindi la domanda non è soltanto come si farà ad uscire dalle secche del confronto in Senato di domani, perché un filo tenue c’è ancora, ma in ogni caso se e come si andrà avanti fino al termine della legislatura … leggi tutto