di Claudia Voltattorni
Due giorni fa,
il leader Cgil Maurizio Landini ha parlato di «rottura tra lavoro e politica» e ha annunciato la sua discesa in campo perché «c’è un vuoto politico».
Luigi Sbarra, da segretario generale Cisl è d’accordo con il suo collega?
«È una visione legittima ma che fatichiamo a comprendere. Il modello sindacale a cui si rifà la Cisl è quello di una soggettività politica autonoma, che non vuole sostituirsi ai partiti di qualunque colore o surrogare il loro ruolo e la loro rappresentanza fuori e dentro il Parlamento. Riteniamo invece nostro dovere spronare e incalzare i decisori pubblici per raggiungere insieme obiettivi di sviluppo, coesione e inclusione. Bisogna muoversi insieme».
Serve ancora il sindacato?
«Oggi più che mai. Il suo compito è governare il cambiamento verso obiettivi di progresso, attraverso la contrattazione e la partecipazione. Non significa accantonare il conflitto, ma ricorrervi solo quando il dialogo salta e mantenere nel confronto una linea pragmatica e non meramente antagonistica».
Il governo sembra traballare con la minaccia dei Cinque Stelle di non votare la fiducia al decreto Aiuti. Temete una crisi?
«Noi pensiamo che questo sia il momento della responsabilità nel quale tutte le energie del Paese, istituzioni, forze politiche e sociali, devono unirsi in vista di obiettivi condivisi. L’Europa, e pensiamo anche la gente comune, non comprenderebbe».
Il decreto Aiuti va bene così?
«Va nella direzione giusta, ma non basta. Bisogna prorogare il bonus dei 200 euro, rendere strutturale la sterilizzazione delle accise, allargare i beneficiari degli sconti in bolletta, elevare il prelievo sull’extraprofitto e redistribuire tutto l’extra-gettito Iva. E si devono introdurre meccanismi che permettano acquisti di beni di largo consumo in esenzione Iva».
Oggi sarete ricevuti dal premier Mario Draghi, cosa gli chiederete?
«Da un lato, c’è da governare l’emergenza, dall’altro affrontare i nodi strutturali delle riforme economiche, della transizione digitale, dell’energia, di una nuova politica industriale sostenibile, del Mezzogiorno. Sul piano strutturale bisogna tagliare il cuneo fiscale, controllare prezzi, rinnovare contratti pubblici e privati, valorizzare le relazioni industriali. Servono poi una riforma previdenziale sostenibile e inclusiva delle pensioni e un fisco che alleggerisca i ceti medi: l’imperativo è difendere il potere di acquisto di retribuzioni e pensioni».
Cosa vi aspettate da lui?
«Il primo passo di un cammino stabile e condiviso. Draghi deve indicare un’agenda precisa per arrivare a un nuovo e moderno patto sociale. Non ci sono alternative se vogliamo evitare un autunno caldo pieno di incognite sul piano occupazionale, della tenuta dei redditi e delle condizioni di milioni di famiglie».
Il bonus 200 euro è sufficiente?
«Va confermato anche per i prossimi mesi, ma da solo non può bastare. Servono provvedimenti strutturali a partire da una forte detassazione dei frutti della contrattazione di secondo livello e una riforma fiscale che tenga saldo il principio della progressività e riduca l’Irpef nei primi scaglioni di salari e pensioni».
All’Italia serve il salario minimo?
«Crescita salariale e contrasto al lavoro povero vanno affrontati con più investimenti, relazioni industriali e contrattuali più efficaci, la piena applicazione dei contratti e più controlli sui luoghi di lavoro. Derive ideologiche e salari legali non porterebbero benefici: si rischierebbe invece di alimentare il sommerso e di allontanare dalle tutele dei buoni contratti collettivi milioni di lavoratori, schiacciando verso il basso anche le retribuzioni medie.
La proposta del ministro Orlando è una buona base. Ma va rafforzato ed esteso settore per settore il trattamento economico complessivo (Tec) dei contratti più diffusi, quelli confederali» … leggi tutto