In ricordo di Amedeo Ricucci, uno dei più bravi e coraggiosi giornalisti italiani (valigiablu.it)

di Amalia De Simone

Se n'è andato uno dei più bravi e coraggiosi 
giornalisti italiani. 

Una perdita immensa. Amedeo Ricucci, inviato di Professione Reporter, Mixer, TG1 e La Storia Siamo Noi, ha seguito i più importanti conflitti degli ultimi trent’anni, dall’Algeria al Kosovo, dall’Afghanistan all’Iraq. Era a Reggio Calabria per realizzare uno speciale del Tg1 sulla ‘Ndrangheta. Qui il suo ultimo reportage “FAME”, dai luoghi dell’Africa sub -sahariana e del sud-est asiatico, andato in onda lo scorso 9 maggio.

E così è stato sul campo fino all’ultimo dei giorni e ci ha lasciato i suoi ferri vecchi. Che detto così sembra qualcosa di obsoleto. Invece Amedeo a quei ferri vecchi (anche il suo blog lo aveva chiamato così) teneva tantissimo, perché erano i principi fondamentali di un modo di fare giornalismo che ti costringe a stare dentro ai fatti, schiena dritta, occhi e cuore aperti.

A raccontare le guerre senza improvvisazione, con studio, analisi e attenzione, soprattutto ai civili. Un modo di fare giornalismo che ha a che fare con la libertà delle persone. Soprattutto oggi che siamo vittime di una narrazione bellica che somiglia sempre di più al marketing, spesso trattati come dei consumatori di veline. Quei ferri vecchi mancano già e sono un’eredità preziosa.

Non so come cominciare… no, non mi mancano le parole per Amedeo Ricucci. È che forse per lui, per il mio maestro, ne ho troppe. Non mi mancano ma ho paura di non trovare quelle giuste che rendano almeno in parte, il senso della sua vita e della sua professione, elementi inseparabili fino alla fine, perché è morto mentre realizzava il suo ultimo reportage dalla Calabria, la sua terra.

Ancora una volta da una zona di guerra, una guerra latente, melliflua, resistente al tempo. Amedeo era, anzi è perché le sue cronache e le sue inchieste restano, un inviato, uno dei più grandi giornalisti della storia di questo dannato mestiere. Ha raccontato negli ultimi trent’anni tutti i principali conflitti, girando il mondo, rischiando spesso la pelle, toccando con mano il dolore della gente.

Quando lo vidi la prima volta, più di 15 anni fa, era appena tornato dall’Afghanistan, si occupava poco di cronaca nazionale e cercava qualcuno con cui realizzare “viaggio nel sud” uno speciale di 4 puntate di reportage per “La storia siamo noi”. Massimiliano De Santis e Barbara Carfagna mi avevano segnalato (gliene sarò grata per sempre).

“Mi dicono che tu racconti le guerre di casa nostra”, mi disse aspirando il suo sigaro e guardandomi da sopra la montatura dei Rayban neri. Dopo poche settimane eravamo tra le guerre di camorra, nelle discariche proprio mentre scaricavano i rifiuti tossici, nei cantieri in cui si realizzavano fabbricati abusivi, tra i lavoratori in lotta, le vittime di mafia, gli speculatori della Salerno-Reggio Calabria, negli ospedali in cui mancava tutto.

Furono mesi incredibili: anticipammo notizie, contribuimmo ad alcuni arresti ma sperimentammo anche la frustrazione e l’impotenza del nostro mestiere come quando ci trovammo con un uomo coraggioso, Mimmo Noviello, che aveva denunciato il boss Giuseppe Setola dell’ala terrorista dei casalesi. Decidemmo di intervistare la moglie con il volto coperto, lui intervenne durante le riprese “noi lo sappiamo che mi uccideranno”, disse.

E così fu. Senza che potessimo avere il tempo di aiutarlo. Ne parlavamo spesso io e Amedeo di quella vicenda e mi colpiva sempre la cura che aveva per quel dramma. Lui che aveva visto centinaia di morti e aveva seguito i conflitti in Palestina, Siria, Cecenia, Africa, Iraq, Afghanistan. Non diventò mai turista del dolore, distaccato collezionista di immagini e storie.

Amedeo partecipava. E amava il suo lavoro, se lo era guadagnato con le unghie e con i denti. Mi raccontava di aver lavorato in Africa per le Nazioni Unite e che proponeva di continuo articoli e reportage ai giornali ma gli davano retta prevalentemente i giornali femminili, così per lavorare di più si firmava con un nome di donna.

Non ha mai dimenticato la gavetta, le lotte per il lavoro e quando insieme ad altri colleghi fondammo i coordinamenti dei giornalisti precari per rivendicare diritti e tutele, lui fu uno dei pochi tra quelli garantiti a sedersi con noi, condividendo progetti, consigli e battaglie. In fondo chi glielo faceva fare?

La maggior parte di quelli con il culo al sicuro ci guardavano con sospetto o al massimo indifferenza. Amedeo non ha mai dimenticato di essere stato un precario, una voce scomoda e franca … leggi tutto

(Kai Dahms)

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