Il 22 giugno 1941, giorno precedente l'anniversario in cui, 129 anni prima,
l’esercito di Napoleone aveva attraversato il fiume Niemen in direzione di Mosca, tra le 3:15 e le 3:45 del mattino, sulla linea che andava dal mar Baltico al mar Nero, iniziò un intenso fuoco di sbarramento da parte dell’artiglieria tedesca (il caso volle che l’ordine di apertura del fuoco arrivasse pochi minuti dopo il passaggio del confine da parte dell’ultimo convoglio di vagoni previsto per quella data, comprendente materie prime per la produzione industriale fornite dall’Unione Sovietica in ottemperanza agli accordi del patto Molotov-Ribbentrop) e alle 4:45 fu dato l’ordine di avanzare ai reparti corazzati.
Iniziava così la guerra tra Urss e Germania nazista. Per molti quella scena sembrava rimettere le cose al loro posto, comunque a sanare l’anomalia rappresentata dal patto tedesco-sovietico siglato a Mosca il 23 agosto 1939 nella sorpresa generale.
Quell’atto, tuttavia, come ricostruisce con attenzione Claudia Weber nel suo Il patto (Einaudi), era meno sorprendente di quanto possa sembrare, tanto da far pensare che la vera anomalia alla fine sia stata proprio l’invasione. Quel patto invece, sostiene documentariamente e fondatamente Claudia Weber, era coerente con le linee essenziali di una visione politica per entrambe le parti.
Per comprenderlo occorre ricostruire (come viene fatto sinteticamente, ma efficacemente nel primo capitolo di questo suo libro) il profilo dei rapporti tra Germania e Urss nel tempo lungo tra le due guerre, per poi provare a descrivere che cosa quel profilo, spesso «accantonato» perché annichilito dalla scena sorprendente del 23 agosto 1939 e poi misinterpretato alla luce del «ritorno a casa», del 22 giugno 1941, implicasse.
Dunque il primo fatto complessivo è che a differenza di quanto si ritiene, l’ascesa al potere di Hitler in Germania (30 gennaio 1933) pur ideologicamente costruita sulla «guerra al bolscevismo» non coincide con la rottura dei rapporti tra Germania e Urss. Anzi, l’esatto opposto.
Questo primo capitolo, è molto importante ed è strutturale per fondare tutta la ricostruzione che Weber propone. Per questo merita molta attenzione.
Nel corso degli anni ’30 (da questo punto di vista non bisogna lasciarsi ingannare dagli schieramenti nel corso della guerra civile spagnola che li vede contrapposti: Hitler in appoggio a Franco, Stalin in appoggio al fronte repubblicano) le relazioni economiche tra i due regimi si intensificano. Relazioni che non si limitano allo scambio economico ma includono una collaborazione militare tra esercito tedesco e Armata Rossa. Questa reazione ha una battuta d’arresto tra 1935 e 1937.
Sono gli anni in cui la politica estera di Mosca è guidata da Maksim Litvinov (cadrà all’inizio del 1939, sostituito da Molotov e quello sarà uno dei segni che portano alla svolta del patto del 23 agosto) è volta a costruire un sistema di salvaguardia antifascista e antinazista e dunque a pensare di costruire un asse che accerchi la Germania.
Questo profilo, apparentemente coerente con gli schieramenti in corso nella guerra civile spagnola (anche se non è da dimenticare che Gran Bretagna e Francia anziché aiutare il fronte repubblicano del governo legittimo, preferirono assumere una posizione di neutralità) è in parte smentito (anche in conseguenza o appoggiandosi su quella posizione di neutralità) dalla decisione di Stalin nel gennaio 1937 di far approvare un documento dall’ufficio politico del partito di intraprendere colloqui politici con la Germania nazista prevedendo, nel caso da parte tedesca se ne fosse manifestato il desiderio, di tenerli segreti.
Il momento è significativo: si è appena svolto (agosto 1936) il primo dei tre grandi processi contro il gruppo dirigente anti staliniano che si chiuderà nel marzo 1938 con l’eliminazione di Bucharin. Soprattutto, almeno pubblicamente sul piano internazionale, l’Urss sembra impegnata su un solo terreno: la sicurezza collettiva, che vuol dire mantenimento della geografia politica uscita dalla Prima guerra mondiale. La Germania nazista, è bene ricordarlo, l’ha già violata nel marzo 1936 con la rimilitarizzazione della Renania.
Il quadro, tuttavia, è ancora agitato. Quando il 30 settembre 1938 a Monaco Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania acconsentono che la parte occidentale della Cecoslovacchia venga assorbita dalla Germania nazista, l’Urss capisce di correre il rischio dell’isolamento, ma anche è ormai chiaro che quella strategia di sicurezza collettiva è ormai in rapido declino. In quelle settimane ha luogo l’uscita di scena di Litvinov.
Stalin allora riapre il dialogo (peraltro mai chiuso) proprio con la Germania nazista, di nuovo recuperando quel principio che tra gli anni ’20 e la prima metà degli anni ’30 aveva consentito le relazioni di amicizia tra i due paesi: riscrivere la carta geografica dell’Europa uscita dalla Prima guerra mondiale.
In altre parole: mettere in crisi l’asse Gran Bretagna – Francia che da quei trattati era uscito dominante e che le due potenze pensano che, al più, dopo l’accordo di Monaco, possa essere riscritta spingendo la Germania verso Est.
L’idea è che la guerra a ovest si possa evitare e vada evitata. La Cecoslovacchia, a Monaco, è il ticket per dare a questo disegno «gambe per camminare». Così almeno credono non solo Arthur Chamberlain, primo ministro britannico, e Édouard Daladier, primo ministro francese, ma anche le molte componenti politiche nazionaliste di destra e pacifiste di sinistra che plaudono alla svendita di Monaco (un quadro psicologico, emozionale, di quelle settimane di settembre ancora vivido è Cronaca di settembre, che Paul Nizan intellettuale comunista, scrive nelle settimane successive) … leggi tutto