Il procuratore generale di Palermo Lia Sava crede che ci sia ancora del tempo utile per conoscere nuovi elementi su Capaci e via d'Amelio.
Ma ricorda: «I processi non sono sociologia, ma si fanno raccogliendo elementi da portare in dibattimento e da trasformare in prove»
«Sappiamo tanto delle stragi e non è una sconfitta continuare a indagare, a trent’anni di distanza». Lia Sava, procuratore generale di Palermo, nella sua decennale esperienza a Caltanissetta ha indagato a lungo sugli eccidi del 1992 a Capaci e in via D’Amelio.
«L’ansia di verità e giustizia – spiega in un colloquio con AGI – e il desiderio di colmare i buchi neri, a 360 gradi, non sono solo dei familiari delle vittime, ma appartengono a un intero Paese. Sarà sempre fatto il massimo sforzo per arrivare a una verità il più possibile completa».
In questo contesto c’è anche la vicenda del «gigantesco e inaudito depistaggio», come lo ha definito nell’ultima requisitoria la procura nissena, delle indagini sulla strage Borsellino del 19 luglio 1992, conclusa lo scorso 12 luglio, a Caltanissetta, con una assoluzione e due dichiarazioni di prescrizione nei confronti dei tre poliziotti imputati.
«Per serietà – spiega il Pg di Palermo – ogni commento andrà fatto solo dopo il deposito delle motivazioni della sentenza. Io ribadisco che in tutta la vicenda delle stragi ci sono punti oscuri, come emerge anche da sentenze definitive pronunciate a Caltanissetta e non solo.
Tante procure, quella nissena come Palermo, Reggio Calabria e Firenze, continuano ad approfondire queste storie, sotto il coordinamento della Direzione nazionale antimafia, più che mai fondamentale, dato che occorre rimettere insieme i pezzi ancora mancanti alla verità sulle stragi, via D’Amelio in particolare, di cui domani ricorre il trentennale».
«L’agenda rossa di Borsellino sparita – dice ancora Lia Sava – e “l’extraneus” nel garage di via Villasevaglios, in cui fu caricato il tritolo nella 126 usata per l’attentato, e di cui parla Gaspare Spatuzza. Elemento che si collega all’altro estraneo alle cosche, che sarebbe stato nel garage di Troia quando venne macinato il tritolo per la strage di Capaci. Cosa che però non vuol dire che ci siano stati mandanti esterni, perchè Cosa nostra non si fa dettare nulla da nessuno. Noi infatti abbiamo sempre parlato di concorrenti esterni».
Poi l’aspetto più inquietante: la famosa »tastata di polso« di cui ha parlato Nino Giuffrè: »Fu il sondaggio in ambienti esterni alla mafia – aggiunge ancora l’alto magistrato – per decidere se procedere a quanto la commissione aveva deliberato già in precedenza, cioè di uccidere Falcone e Borsellino in caso di esito negativo del maxiprocesso in Cassazione.
La tastata di polso ebbe esito favorevole, da quegli ambienti esterni e deviati arrivò il placet. E in questa direzione si continua a indagare, per individuarli: fermo restando che i processi non sono sociologia, ma si fanno raccogliendo elementi da portare in dibattimento e da trasformare in prove».