Se sei in carcere e hai la celiachia sono affari tuoi.
Come è noto, non esiste una cura per la celiachia, ma una scrupolosa alimentazione senza glutine può aiutare a gestire i sintomi. In libertà, farcela dipende da te. In carcere, dipende da altri. Io me la sono cavata e me la cavo perché ho mia figlia che mi segue e può sostenere economicamente i costi degli alimenti che mi servono per vivere.
Il problema non è però solo di natura economica, ma riguarda l’impostazione delle cucine delle carceri italiane che – lo posso dire dall’alto della mia lunga esperienza carceraria – non sono concepite per soddisfare le esigenze di coloro che soffrono della mia stessa malattia e pertanto non hanno gli spazi adeguati e distinti nei quali preparare i cibi.
L’isolamento dello spazio cucina è necessario per evitare la contaminazione con i cibi che contengono glutine. Come tutti, anche io ho alla base della mia dieta il pane, la pasta e i biscotti per la colazione. Resta il fatto che questi beni devono essere senza glutine.
Quando non te li fornisce il carcere, vanno acquistati a proprie spese e il loro costo è piuttosto alto. Ne consegue che chi non ha la possibilità economica o una famiglia che gli può acquistare questi beni necessari, è costretto a mutare la sua dieta, passando dalla pasta al riso.
Non è che mangiare il riso faccia male, ma doverlo mangiare per l’intera carcerazione è ben altra cosa. A tale problema si aggiunge quello della contaminazione, perché, come ho detto, i locali delle cucine delle carceri non sono distinti e tutto è preparato in un ambiente unico. L’assunzione di cibi contaminati può provocare nei celiaci finanche il tumore allo stomaco.
Mentre ordinariamente si hanno arrossamenti della cute con prurito, mal di stomaco e diarrea. Non importa quanti siamo – dieci, cento, mille – noi celiaci detenuti. Quel che rileva è la tutela dei loro diritti, la cura della salute fisica delle persone recluse che rischia di essere compromessa, non dalla malattia, ma dallo Stato che, avendole private della libertà, ha la responsabilità della loro custodia.
Per chiarezza, non è che la materia sia sfornita dì norme o che non esistano le procedure sanitario-amministrative per andare incontro alle persone celiache. È un fare farraginoso dell’amministrazione e alcuni equivoci sulle incombenze del caso a rendere più difficile se non impossibile la vita delle persone celiache in carcere.
Non so se è noto che il celiaco percepisce un ticket mensile di 110 euro, al di là se questi stia in carcere o no. Tale somma equivale a una mini-pensione per la patologia che non basta per mangiare neanche una settimana.
Così, a prescindere dal percepimento del ticket, le incombenze sul fornire i tre pasti quotidiani ricadono sull’amministrazione penitenziaria. Tuttavia, l’elevato costo dei prodotti per celiaci rende recalcitranti le locali amministrazioni che lamentano una mancanza di fondi appositi.
Non spetta a me sapere se esiste o meno un capitolato dì spesa per celiaci. Quel che so è che al di là del problema prettamente economico, resta sul tavolo e tocca tutti i malati di tutte le carceri la questione delle strutture inadeguate alla preparazione dei cibi … leggi tutto