Massimo Recalcati, la Bibbia e la psicoanalisi (doppiozero.com)

di Luigi Maria Epicoco

Il testo di Massimo Recalcati, 

La legge della Parola. Radici bibliche della psicanalisi (Torino Einaudi, 2022, pagine 400) verosimilmente diventerà un classico della saggistica, e questo per un motivo molto semplice: l’autore ci offre in maniera sistematica e approfondita una sorta di antropologia biblica della psicanalisi, una specie di fondale di senso dentro cui si riesce a rileggere non solo la pratica della psicanalisi, ma molti aspetti della nostra contemporaneità e dell’essere umano stesso.

Proprio per questo aspetto in realtà è molto difficile collocare lo studio di Recalcati in un ambito ben definito. Il potenziale di queste pagine è destinato a fecondare molti ambiti di molti saperi. Penso ad esempio a come si potrebbe ripensare un intero approccio teologico a partire proprio da queste intuizioni, o a come ci si ritrova disarmati, dopo la lettura di queste pagine, nell’accostare l’atea riflessione della psicanalisi in maniera vetustamente conflittuale con l’ambito religioso.

Per stessa ammissione dell’autore la scrittura di questo testo non riguarda solo un periodo recente della sua produzione e della sua riflessione, ma comprende una parabola di tempo abbastanza lunga testimoniata dalla profondità di lettura di alcuni brani biblici e di alcune folgoranti intuizioni e relazioni concettuali che a mio parere non ci offrono solo una chiave di lettura nuova, ma insegnano un vero e proprio metodo di lavoro e di riflessione.

Ciò che il libro non è.

C’è però bisogno di una doppia premessa che dica apertamente e fin da subito ciò che questo libro non è.

Esso non è innanzitutto un tentativo di psicanalizzare il testo biblico, bensì esattamente il suo contrario. Il testo biblico è infatti preso come rivelativo e provocante proprio verso la psicanalisi, e Recalcati ne traccia una mappa già percorsa da grandi pensatori come Freud e Lacan, ma in alcuni casi spalanca sentieri che sono ancora tutti da percorrere e scoprire.

La seconda premessa riguarda la ‘rinuncia ideologica’ che Recalcati fa fin dall’inizio del testo, infatti davanti a grandi pensatori come Freud e Lacan, o davanti alla grande tradizione biblica giudaico-cristiana si può stare con la postura fanatica del discepolo integralista che non ammette nessuna difformità al pensiero del maestro. Freud e Lacan possono essere idolatrati fino al punto da tradire proprio l’intuizione ‘eretica’ del loro pensiero, l’originalità del loro contenuto, la capacità di dire qualcosa di nuovo lì dove regna ripetizione o muro.

Lo stesso testo biblico può essere impugnato come una spada per ferire, dividere, uccidere, contrapporre, diventando uno strumento di morte e venendo meno a ‘quell’abbondanza di vita’ di cui è portatore. Recalcati vaglia, riporta alla memoria il pensiero dei grandi, considera le interpretazioni bibliche più tradizionali, ma esercita anche la libertà di contraddire, correggere o semplicemente indicare una lettura altra.

Questo metodo è come l’alcol su una ferita: da una parte impedisce l’infezione del ripiegamento, ma dall’altra provoca il bruciore del narcisismo che è sempre nascosto nel cuore del discepolo integralista che leggendo i propri maestri e la propria tradizione in maniera ideologica, mal sopporta una differenza, interpretandola sempre come eresia. Ma ogni vero contributo è sempre attraversato da una ‘eresia necessaria’.

Il primo tempo di un dittico.

La Legge della Parola è in realtà solo la prima parte di un doppio discorso che speriamo presto di vedere arrivare alla sua conclusione con la pubblicazione del secondo volume. Così come il testo biblico è diviso nell’Antico e nel Nuovo Testamento, così Recalcati in questa prima parte si concentra sul cuore dell’Antico Testamento, la Torah, mostrando come appunto il cuore della Legge è la Legge di quella Parola che taglia, che struttura nell’uomo una mancanza necessaria. È il tempo della riconciliazione con la propria creaturialità.

È proprio la dimenticanza del proprio limite e della propria debolezza la radice di quel delirio di onnipotenza che ci fa aspirare a volerci fare Dio. I racconti della creazione e della prima fraternità fallita, quella di Caino e di Abele, ci mettono davanti all’evidenza che c’è qualcosa che precede l’amore ed è l’odio. C’è qualcosa che precede il legame di bene ed è la furia omicida che ci abita.

L’ammissione di questo buio atavico non dice un destino inesorabile a cui siamo condannati, ma riporta l’amore, il bene, la luce, i legami, nell’ambito di un’umanità che va conquistata e scelta e che non va mai data per scontata.

Accanto a questa tremenda consapevolezza di avere radici che affondano nel buio possiamo rileggere l’azione di Dio come l’azione di una salvezza che più che liberarci da questo buio ci dà l’occasione di elaborarlo come un risvolto della luce, come la sua ombra, cioè in stretta connessione con la luce stessa … leggi tutto

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